Oggi facciamo i conti con il fallimento di un sistema economico basato sul capitalismo di stampo neoliberista e con la globalizzazione

Eccetto validi economisti e pochi altri specializzati del settore, dei dazi se ne parla, come spesso accade per tanti altri temi, come di un trend topic su cui avvicinare nuovi follower. 

Provando a fare chiarezza e corretta informazione partiamo occorre partire dalla domanda: cosa sono i dazi?

Ogni mercato (luogo fisico o virtuale dove si incontrano domanda e offerta), ha una propria struttura, determinata da diversi fattori, tra cui le barriere in entrata ed uscita. 

Queste barriere possono essere licenze, autorizzazioni, oneri fiscali, dazi, e tanto altro, con cui si definisce la dimensione, le caratteristiche e l’accesso-uscita dal mercato in questione. I dazi, perciò, sono una barriera in entrata, ovvero imposte o tariffe applicate dai governi sulle merci importate o esportate. Vengono utilizzati per regolare il commercio internazionale, proteggere le industrie nazionali, generare entrate fiscali o influenzare le relazioni economiche e quindi spesso geopolitiche con altri paesi. 

Fonte: Wine Meridian

Esistono dalla nascita degli scambi internazionali e sono venuti meno con accordi e trattati nell’ottica della globalizzazione ed applicati sulla base di teorie e logiche neoliberiste. 

Perché oggi l’America applica i dazi? 

Lo ha sempre fatto con aliquote differenti, oggi le allarga ed aumenta, per una logica commerciale con cui Trump sogna di riequilibrare la bilancia commerciale, ovvero il saldo tra importazioni ed esportazioni (l’America importa più di quanto esporta), recuperare manifatture e industrie che hanno delocalizzato, aggiustare i conti USA che si fondano ed affondano su un debito pubblico che ha superato la soglia dei 35mila miliardi di dollari. 

Cosa significa tutto questo e cosa accadrà? 

Viviamo in un mondo che fa i conti con il fallimento di un sistema economico basato sul capitalismo di stampo neoliberista e con la globalizzazione. I dazi appartengono ad un mondo che non c’è più e sono, di fatto, costi occulti che affronteranno i consumatori. Il modello della società dei consumi ha esaurito la sua capacità di generare ricchezza, al massimo ne offre opportunità di accumulo, ed oggi gli indici sociali mirano a ben altre dimensioni. 

Il dazio ha una logica secondo cui si paga qualcosa in più perché prodotta, spostata, distribuita con oneri temporali e logistici, da imprese collocate a centinaia o migliaia di chilometri, non da imprese che si collocano sul territorio in cui si distribuisce e consuma quel bene o servizio, generando ricadute occupazionali, economiche e sociali.

Fonte: PricePedia

Nel mondo che abbiamo costruito denunciandone le storture senza mai proporne modelli alternativi e differenti, accade dunque di avere sui nostri scaffali, sulle nostre tavole, prodotti di ogni parte del mondo a prezzi simili a quelli applicati in quella parte di mondo da cui quel prodotto arriva. Non deve perciò spaventare il dazio in sé, ma la motivazione con cui viene utilizzato. Non deve preoccupare tanto la pratica antiglobale, quanto la mancata sottoscrizione di protocolli e trattati che parametrino i diritti dei lavoratori, la qualità dei prodotti, la sostenibilità delle filiere.

E se oggi abbiamo paura che un americano non compri il Made in Italy perché i dazi si scaricheranno nel costo finale sul consumatore, dovremmo chiederci del perché tante imprese italiane dell’artigianato, della manifattura, della produzione e lavorazione di beni chiudono o si trasferiscono, mentre i nostri scaffali si riempiono di prodotti di scarsa qualità o provenienti da Paesi senza tutele e diritti per i lavoratori.

Perché abbiamo costruito un mondo globale per le merci e per i potenti, ed oggi i dazi sono un ritorno al passato in un pianeta che non sa governare il futuro con una ritrovata centralità dell’uomo e dell’umanità su merci, economie e finanza.

Alberto Siculella

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