Dopo l’inaspettata rimonta del Partito Democratico, ugualmente inedita è stata la diatriba per l’elezione dello Speaker della Camera bassa
Le elezioni di Midterm negli USA di quest’anno sono state davvero incredibili, non avendoci lesinato sorprese e colpi di scena. Dopo l’inaspettata rimonta di novembre del Partito Democratico, dato per sfavorito nei sondaggi della vigilia, ugualmente inedita è stata la diatriba per l’elezione dello Speaker della Camera bassa.
Kevin McCarty, veterano del Congresso e volto umano dei repubblicani, è riuscito infatti ad imporsi solo al quindicesimo scrutinio come successore di Nancy Pelosi. Determinanti per la sua vittoria sono stati i voti dell’ultradestra trumpiana, a cui il nuovo speaker ha dovuto fare alcune concessioni. Fra tutte, la modifica del regolamento della Camera riguardo alla possibilità di sfiduciare il presidente da parte della maggioranza parlamentare.
McCarty, che è alla sua ottava legislatura al Congresso, non è particolarmente amato dai sostenitori dell’ex presidente americano. Malgrado inizialmente avesse negato la vittoria di Biden, è poi stato costretto a retrocedere dalle proprie posizioni dopo l’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021. Un episodio che McCarty ha voluto ricordare all’atto dell’insediamento, marcando la distanza con l’ala più estrema del suo partito. Una scelta che, certamente, non è piaciuta ai trumpiani di ferro, di cui McCarty rappresenta già da adesso la perfetta antitesi.
Era, infatti, dal 1923 che l’elezione dello Speaker non avveniva alla prima votazione ed era dal 1859 che essa non si protraeva oltre il nono scrutinio. Un sintomo, questo, del travaglio vissuto dal Gop, all’indomani dell’attacco al tempio della democrazia a stelle e strisce da parte dei seguaci di Donald Trump. Tale vicenda sta, proprio in queste settimane, tornando di drammatica attualità, a causa di nuove rivelazioni pubblicate sui giornali.
Per il New York Times, il Tycoon ha incitato i suoi sodali all’insurrezione e le prove sono già agli atti degli inquirenti che indagano sul caso. Giusto l’estate scorsa, l’FBI aveva sequestrato in Florida documenti riservati, sottratti alla Casa Bianca dallo staff di Trump. I guai, tuttavia, per l’ex inquilino di Pennsylvania Avenue non sembrano essere finiti qui.
La procura di New York e quella della Georgia stanno indagando su presunte irregolarità fiscali delle società del magnate, risalenti al periodo della presidenza. Ancora, sempre la Corte federale di New York, vorrebbe procedere contro Donald Trump per stupro nei confronti di una giornalista avvenuto trent’anni orsono. Trump, come sempre, nega gli addebiti, accusando i democratici di complottare contro di lui in vista delle elezioni del 2024.
Tuttavia, i nemici del Tycoon non sembrano ormai più annoverarsi solo fra i progressisti. Con Ron DeSantis in ascesa e Liz Cheney che gli ha dichiarato guerra aperta, sono non pochi quelli che fra i conservatori vorrebbero archiviare la parentesi trumpiana. Ciononostante, egli ha ancora una certa presa sul Partito Repubblicano. La farraginosa elezione di McCarty lo dimostra chiaramente. Il neoeletto Presidente della Camera ha dovuto promettere ai trumpiani un taglio alle spese per la difesa, richiesto da Biden per sostenere Zelensky nella Guerra in Ucraina.
Inoltre, alla nuova maggioranza sarebbero pervenute pressioni per aprire un’inchiesta su Joe Biden, in seguito alla scoperta di documenti riservati rinvenuti nel vecchio ufficio al Senato del Presidente Usa e nella sua casa in Delaware. A tal riguardo il Procuratore Generale degli Stati Uniti ha già avviato un’indagine, ma fra i repubblicani si parla già di impeachment. La vicenda, però, non convince e troppi dubbi restano ancora da chiarire.
La verosimiglianza delle accuse a Biden con quelle di Trump, suscitano sospetti riguardo a una regia esterna che potrebbe trarre vantaggio dall’indebolimento della leadership statunitense nel mondo. Il riferimento, affatto casuale, e alla Russia di Putin, che, c’è da crederci, come sostiene i movimenti populisti europei, ugualmente non si astiene dall’interferire nelle vicende americane. Specialmente in Sudamerica, dove questa settimana abbiamo assistito alla replica brasiliana dell’assalto a Capitol Hill.
Bolsonaro, non riconoscendo la vittoria di Lula, avrebbe infatti istigato i suoi sostenitori a sovvertire il voto. Ombre, a tal riguardo, sono state avanzate sui vertici dell’esercito, che non avrebbero agito prontamente per sventare quello che, a tutti gli effetti, è parso un bizzarro tentativo di colpo di Stato.
Per non parlare del ruolo svolto da alcuni membri del governo di Bolsonaro, che qualora parlassero potrebbero finalmente illuminarci su questa surreale strategia del sabotaggio, che porta sempre più persone a nutrire sfiducia verso i governi di stampo democratico.
Gianmarco Pucci