La compagna Rossana Rossanda se n’è andata. Ha sostenuto le sue battaglie, battagliera e combattiva fino al suo ultimo giorno
Il 20 settembre 2020 ci ha lasciati Rossana Rossanda. Aveva 96 anni. A darne notizia con un tweet fu la direttrice de Il Manifesto, Norma Rangeri, quotidiano che Rossanda fondò – 51 anni fa – assieme a Luigi Pintor, Lucio Magri e Valentino Parlato. Storica dirigente del PCI, nel 1969 venne radiata in quanto esponente della sinistra critica del partito. Con Magri, Pintor e Parlato fondò Il Manifesto, prima come rivista, poi come quotidiano e successivamente come partito. Il giornale, in occasione delle elezioni politiche del 1972, ottenne solo lo 0,8% arrivando alla scelta politica di congiungersi al PdUP (Partito di Unità Proletaria) dando vita nel 1974 al PdUP per il Comunismo.
Era nata a Pola il 23 aprile 1924. Da sempre antifascista, partecipò giovanissima alla Resistenza col nome di “Miranda”. Donna sapiente e coraggiosa – Togliatti nel dopoguerra la nominò responsabile del settore cultura del PCI – che condusse decine di battaglie storiche, quasi tutte eretiche, sostenitrice dei moti studenteschi negli anni ’60-’70, simbolo dell’emancipazione e dell’autonomia femminile rispetto alle convenzioni sociali e conformiste della politica italiana.
Rossana Rossanda era sicuramente un esponente di spicco dell’ala di sinistra interna maggiormente movimentista del PCI. La definivano Ingraiana per le sue posizioni molto vicine a quelle di Pietro Ingrao, che tuttavia – nel 1969 – votò a favore dell’espulsione dei dissidenti di sinistra legati a Il Manifesto. Nel 1968 pubblicò un piccolo saggio, intitolato L’anno degli studenti, in cui esprimeva la sua adesione piena ed incondizionata alle rivendicazioni che gruppi e collettivi di sinistra – anche all’infuori dei circuiti del PCI – stavano portando avanti.
La sua fu una delle più importanti critiche comuniste all’invasione sovietica di Praga nel 1968. Come spiegò fu lei a rimanere “comunista” perché quel partito così fuso al concetto di “socialismo reale” lo era sempre meno. Perché quello dei carri armati non era comunismo, non era il “suo” comunismo. Che era un comunismo libertario, gramsciano, vicino al pensiero di un’altra grande donna, comunista e libertaria, Rosa Luxemburg. Nel marzo del ’78, in pieno sequestro Moro, Rossanda pubblicò su Il Manifesto un discusso e critico editoriale facendo andare su tutte le furie la allora corrente migliorista, e non solo, dei Macaluso e Napolitano. La storica direttrice fu l’unica ad aver convinto il capo delle Brigate Rosse, Mario Moretti, a parlare in un’intervista del caso Moro.
Nel suo autoritratto, La ragazza del secolo scorso (2005, Einaudi), spiegò: “Io sono del ‘900 e lo difendo. È stato il primo secolo nel quale il popolo ha preso la parola dappertutto. E dove l’ha presa, l’ha presa sostenuto dalla sinistra”. Aveva scelto di vivere a Parigi insieme al compagno della vita, Karol Kewes, ebreo polacco, scampato al nazismo riparando in Russia dove si arruolò nell’Armata Rossa. Uno dei fondatori del Nouvel Observateur, collaboratore de Il Manifesto sin dal primo numero. Karol era cieco e Rossana lo ha assistito fino alla sua morte, nel 2004. Non parlava molto nemmeno del suicidio assistito di Lucio Magri, nel 2011. Lei lo accompagnò in Svizzera a morire, a differenza di altri che si voltarono dall’altra parte.
“Mi dispiacerebbe morire per i libri che non ho letto e i luoghi che non avrò visitato ma confesso che non ho più nessun attaccamento alla vita”, concluse così una sua intervista a La Repubblica.
La compagna Rossana Rossanda se n’è andata, e in politica non ha più fatto ritorno. Ma non ha mai smesso di farla, di viverla, di plasmarla. L’ha guardata da vicino e da lontano, l’ha commentata e criticata, l’ha analizzata e giudicata. Ha sostenuto le sue battaglie, battagliera e combattiva fino al suo ultimo giorno.
Jacopo Gasparetti