La pellicola, pur seguendo il filone della commedia, risulta essere una feroce satira verso un certo segmento della società borghese e alto borghese della capitale
Carlo Lizzani, regista, critico, saggista e storico del cinema, esordisce alla regia nel 1950 con il film Achtung banditi. Un film serio, forte. Da quel momento ci ha abituato, a seguito di questa sua visione realista e cruda della società, a vedergli dirigere pellicole sempre molto impegnate nel sociale. Meravigliò molto quindi quando nel 1971 assunse la regia di Roma bene, un film commedia imperniato sulle vicende di personaggi del mondo aristocratico, alto borghese e opulento della Roma nord.
A guardar bene però la meraviglia è solo apparente e comunque superficiale, la pellicola infatti, pur seguendo il filone della commedia, risulta essere una feroce satira verso un certo segmento della società borghese e alto borghese della capitale. Ispirato alla piece di Nicola Badaluccio (che curò anche la sceneggiatura), “Le mani aperte”, il film ci introduce nel salotto bene della duchessa Silvia Santi, una splendita Virna lisi moglie dell’industriale Giorgio (Philippe Leroy), attorno al quale ruotano alcuni dei personaggi più in vista dell’aristocrazia, della finanza, del clero e della politica italiana.
Siamo ad una grande festa dove, senza alcuna forma di pudore, avviene un po’ di tutto. Un nobile spiantato, interpretato da uno straordinario Vittorio Caprioli, viene pescato a rubare un orecchino alla padrona di casa; arrestato, sputerà il gioiello al commissariato, ma non subirà alcuna pena in quanto lo scandalo non gioverebbe a nessuno. Si prosegue con uno spiantato imprenditore che si umilia nella disperata ricerca di agganciare un personaggio che gli possa avallare un progetto di import export.
C’è poi una coppia di nobili, la principessa Dedè Marescalchi, (Senta Bergher) guidata abilmente dal marito, (Umberto Orsini) che si prostituisce a importanti e facoltosi personaggi per riuscire a lottizzare dei terreni. La festa è solo un assaggio delle nefandezze di questo mondo. Più avanti vedremo un alto prelato, interpretato da Gastone Moschin, che si muove abilmente nei meandri della finanza gestendo il potere derivatogli dal ruolo che riveste con la disinvoltura di un agente di borsa. La stessa duchessa Silvia Santi sarà l’organizzatrice del finto rapimento dei figli per estorcere al marito 300 milioni di lire.
Spettatore attivo, impotente di questi fatti è l’ispettore di polizia Quintilio Tartamella, uno splendido Nino Manfredi che, pur agendo nell’assoluta integrità morale che il suo ruolo e la sua coscienza gli impongono, non riesce ad andare a fondo di nessuna delle nefandezze alle quali assiste.
Alla fine, essendosi mostrato troppo zelante nello svolgere le sue indagini all’interno dell’ambiente in questione, verrà definitivamente allontanato attraverso il solito meccanismo della promozione con relativo trasferimento.
Il film ebbe un ottimo successo di pubblico, ma fu accolto piuttosto tiepidamente dalla critica che probabilmente, non riuscendo a cogliere la spietata ma ironica critica verso una certa società, considerò l’opera di Lizzani una specie di accondiscendente racconto commedia in cui i fatti possono considerarsi più ironici e grotteschi che reali. In seguito, la rivalutazione del film fu totale e ad oggi Roma bene viene considerato come uno dei film che meglio rappresentano la società dell’epoca.
Fonte: The Movie Database
Il cast davvero imponente ne fa un’opera quasi unica nel suo genere, ai nomi già citati possiamo aggiungere Irene Papas, Annabella Incontrera, Michéle Mercier, Vittorio Sanipoli, Evi Maltagliati, Franco Fabrizi, Nora Ricci.
Insomma, come dicevo un cast davvero straordinario che riesce a costruire assieme al regista una storia grottesca. Si tratta di una commedia certo, ma senza dubbio più credibile di tanti film denuncia che affrontano certi argomenti troppo direttamente lasciando nello spettatore il dubbio che queste cose in fondo succedono solo nella finzione del grande schermo.
Possiamo, infine, dire che in qualche modo lo si può senz’altro avvicinare a Signore e signori di Pietro Germi del 1966, al quale non è escluso che lo stesso Lizzani si sia ispirato cercando di trasporre i vizietti presenti in una non ben identificata provincia veneta del film di Germi ad una Roma placida e sorniona, ma non per questo meno colpevole.
Lello Mingione