Occorre prendere come esempio gli accordi del 1978 per avvicinarsi ad una soluzione

Il 26 marzo 1979 a Washington venne firmato il Trattato di pace israelo-egiziano, con il quale si pose fine al lunghissimo conflitto tra i due Paesi. Protagonisti di questo processo di pace, mediato dal Presidente USA Jimmy Carter, furono il Presidente egiziano Al-Sadat e il Premier israeliano Begin. Elemento fondamentale del Trattato di pace era il riconoscimento reciproco dei due Stati e la fine di uno stato di guerra che perdurava dal 1948. Ma ancora più importante: era la prima volta che uno stato arabo riconosceva Israele. Un riconoscimento che per gli esperti di geo-politica costò la vita al presidente egiziano Al-Sadat, vittima di un attentato al Cairo nel 1981.

Per le sue scelte venne bollato come traditore della causa palestinese, in particolar modo tra i fondamentalisti islamici, risultando impopolare per molti governi arabi che consideravano gli accordi firmati una dimostrazione di debolezza da parte dell’Egitto.

Fonte: AGI

Tra i punti certamente più noti vi fu quella relativa al territorio del Sinai eternamente conteso tra le due fazioni: da un lato Israele ritirava le proprie truppe dal Sinai – che occupava dal 1967 – dall’altro l’Egitto provvedeva alla smilitarizzazione parziale dell’area. Solo nel 1983 Israele si ritirò definitivamente dalla penisola del Sinai, restituendo il territorio all’Egitto.

Gli eventi drammatici di cui siamo stati testimoni negli ultimi mesi dovrebbero forse ripartire proprio da esempi come gli Accordi di Camp David, i quali sono avvenuti in condizioni che per molti versi sembrano persino peggiori di quelle attuali.

Per trovare una soluzione bisognerebbe riuscire a mettere da parte gli odi profondi e i particolarismi e ragionare con un orizzonte ben più ampio, essendo pronti anche a subirne delle conseguenze personali, come è stato il caso di Sadat e di diverse altre figure nella storia decennale di questo conflitto.

Alberto Fioretti

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