La settimana scorsa, a pochi Km da Mosca, un convoglio di auto su cui viaggiava Alexandr Dugin, meglio noto come “l’ideologo di Putin” è stato attaccato mentre rientrava da una missione in Ucraina. L’attentato, in cui ha perso la vita la figlia di Dugin, Darya, è stato da subito attribuito dalle autorità russe ai servizi di sicurezza ucraini, i quali avevano seguito le mosse del consigliere di Putin e di sua figlia fin dal loro arrivo nel Paese.
Secondo fonti di Kiev, costoro erano giunti in Ucraina con l’obiettivo di sostenere le truppe filorusse che controllano il Donbass e denunciare i crimini commessi dagli ucraini verso la minoranza russofona. Dugin ha anche, in tale frangente, auspicato lo sterminio del popolo ucraino, colpevole secondo lui di tradimento verso la madrepatria russa e i suoi valori fondanti. Una tesi che egli, in qualità di filosofo molto famoso in patria, ha sempre sostenuto, elaborando un pensiero dottrinario originale e poco ortodosso.
Dugin, infatti, è noto come un pensatore nazionalista, fautore della teoria euroasiatica, che fondendo fra loro tradizionalismo russo, postmodernismo ed esoterismo giunge a postulare l’avvento di un grande impero orientale in grado di soppiantare le democrazie liberali occidentali. Attingendo a filosofi come Heidegger e Nietzsche, Dugin si fa portavoce di un nuovo pensiero conservatore paneuropeo, fedele al Marx delle origini, ma alieno dal bolscevismo tradizionale, secondo lui da declinare in un’ottica puramente nazionalistica e russocentrica. Etnocentrismo molto diffuso nella Germania Nazista e ben simboleggiato dalla passione di Hitler per il neopaganesimo ariano, verso cui Dugin nutre grande ammirazione.
Tuttavia, malgrado la sua vicinanza all’ideologia nazista, Dugin è stato spesso accostato ad un altro personaggio importante della moderna storia russa. Per il suo ruolo di consigliere di Putin, egli è stato, infatti, ribattezzato dalla stampa estera il Rasputin del XXI secolo. Quello stesso Rasputin che, nella Russia Zarista, acquisì, grazie a presunte doti taumaturgiche, un’importanza notevole durante l’Impero dei Romanov. Egli, monaco proveniente dalla Siberia sudoccidentale, giunse a San Pietroburgo alla fine del 1905, recando con sé la fama di mistico e di guaritore. Doti che gli attirarono la benevolenza della principessa Milica del Montenegro e di sua sorella Anastasia, grandi esperte di spiritismo e pratiche occulte. Non per niente, fu proprio il carisma di Rasputin su di loro a introdurlo a corte, dove per le sue doti di starevic ( profeta) divenne in breve tempo un protetto dello Zar Nicola II e di sua moglie Alessandra.
Specialmente la Zarina nutriva grande fiducia in Rasputin, dopo che esso guarì il figlio Aleksej dall’emofilia. Questo fu il primo dei tanti miracoli attribuiti a Rasputin e che contribuiranno negli anni successivi ad accrescerne la fama di guaritore. Tuttavia, a corte molti lo odiavano e lo ritenevano un ciarlatano. Secondo il principe Feliks Jusupov, suo futuro assassino, Rasputin era un impostore che si era intrufolato nella famiglia Romanov, sfruttando le sue conoscenze dell’ipnosi e del mesmerismo, per arricchirsi indebitamente. Fu anche accusato di essere un eretico e di perseguire una vita dissoluta, dedita all’alcol e alla lussuria più sfrenata. Rasputin era, infatti, un assiduo frequentatore della setta religiosa di Chlysty, dedita a pratiche orgiastiche e come tale bandita dalla religione ufficiale.
Ciononostante, ad attirargli le antipatie della dieta russa non furono le sue abitudini di vita, ma la sua crescente influenza sullo Zar, all’indomani dello scoppio della Prima guerra mondiale. Le sue continue ingerenze nella politica russa e il suo notevole ascendente sulla Zarina, furono sempre più viste con sospetto da quanti ritenevano il mistico siberiano una spia della Germania nemica. Questo, unitamente al degrado morale portato a corte, fu alla base di vari complotti per ucciderlo. Di questi solo l’ultimo, ordito da Jusupov, Pavlovic e Purishkevich andò a buon fine. Ciò contribuì a consolidare la fama sulla presunta immortalità del monaco, capace di sfuggire fortuitamente alla morte in virtù di un patto suggellato con il demonio. Superstizioni che non ne hanno intaccato la fama, giunta inalterata fino a noi.
Invero, a prescindere da ogni speculazione parascientifica, resta che Rasputin è stato certamente un mago della parola, un abile manipolatore che è riuscito, facendo leva sulle credenze popolari diffuse nella Russia dell’epoca, a soggiogare ai suoi voleri un’intera nazione. Un po’ come fanno oggi i moderni consiglieri politici, che prestano il loro ingegno al potere per indirizzarne l’opera. Ed esattamente come ha fatto Dugin, la cui feroce retorica populista oggi paga un prezzo altissimo.
Quello di aver sacrificato la vita della figlia sull’altare della ragion di Stato.
Gianmarco Pucci