Un approccio malato col mondo virtuale è da ritenersi tra le cause principali di certi atteggiamenti
Un titolo, una domanda: quanto vale un essere umano? La risposta è: infinito! Eppure, oggigiorno, sembra che il termometro atto a stabilire l’importanza di una persona sia lontano anni luce da quelle che sono le nostre linee guida umane e culturali.
In un piccolo comune lombardo, Abbiategrasso, è avvenuto l’ennesimo episodio di violenza scolastica che ha portato la cittadina al centro dell’attenzione dei media, almeno finché la notizia ha fatto comodo. Un sedicenne, con problemi scolastici e caratteriali, ha pensato bene di presentarsi in aula con un pugnale alla “Rambo” ed una pistola giocattolo. Scopo del giovane, riversare sull’insegnate (la signora Elisabetta Condò) tutto il suo rancore e la sua violenza attraverso una serie di pugnalate premeditate che, fortunatamente, non hanno portato la donna ad un tragico finale.
La cinquantunenne è stata sottoposta ad un intervento chirurgico durato sei ore: tre ferite alla testa di 20 cm con frattura cranica, una ferita di 10 cm alla scapola ed un’incisione al braccio, all’arteria ulnare di quindici cm. Ora l’insegnante è fuori pericolo ma le ferite psicologiche lasceranno una cicatrice profonda che non scomparirà mai.
In molti hanno parlato di un gesto insensato, figlio di un disturbo paranoide del ragazzo il quale, dopo aver infierito contro la docente che lo aveva chiamato alla cattedra per un’interrogazione di “riparazione”, si è inferto una ferita alla testa. Urla, sgomento e paura hanno regnato all’istituto Emilio Alessandrini per minuti che sono apparsi interminabili. Naturalmente il ragazzo è stato portato in ospedale dove i Carabinieri lo hanno piantonato per tutto il tempo necessario. L’accusa è quella di tentato omicidio aggravato.
Stando alle prime ricostruzioni, lo studente aveva collezionato quattro note sul registro (da parte della docente) che si andavano a sommare ad altre due sempre per problemi di rendimento e disciplinari.
Quello su cui è necessario soffermarsi è il comportamento che oggi troppi giovani hanno nei confronti dei propri professori. Sarebbe molto facile credere che dietro ogni atto delinquenziale si nascondano disturbi della psiche; se per un caso questa tesi risulta valida, ce ne sono moltissimi altri dove l’unica vera ragione è la totale perdita dei valori che le giovani generazioni vivono quotidianamente.
Un tempo la Scuola rappresentava il luogo di formazione dei cittadini di domani; l’insegnante, indipendentemente dal suo grado di simpatia e capacità professionale, era l’autorità davanti alla quale ci si doveva alzare in piedi (quando entrava e usciva dall’aula), ci si doveva relazionare con educazione, consapevoli del fatto che, su una scala gerarchica, stava diversi gradini sopra rispetto agli studenti.
Nel presente le cose sono totalmente invertite: basta navigare su internet per vedere video pubblicati dagli stessi ragazzi che, in aula, filmano (con i loro cellulari da 800/1000 euro) comportamenti vergognosi di compagni che minacciano, insultano, sbeffeggiano l’insegnante obbligandolo/a a cambiare il 3 in un 6 o anche 7; atti di bullismo nei confronti di coetanei laddove, in passato, si sarebbe intervenuti a difesa del compagno in difficoltà.
Fonte: Famiglia Cristiana
E tale atteggiamento trova linfa all’interno della famiglia. Quanti sono i professori e le professoresse che, dopo aver messo un’insufficienza o una nota allo studente, si sono ritrovati davanti al genitore dello stesso che ha usato toni minacciosi se quel voto non fosse stato immediatamente rettificato e la nota cancellata?
Ma cosa c’è alla base di tutto ciò? Sicuramente un approccio malato col mondo virtuale è da ritenersi tra le cause principali di certi atteggiamenti. Instagram, Tik Tok ed OnlyFans sono, molto spesso, la vetrina di esempi deleteri per gli adolescenti. Vivere h24 con queste realtà porta i giovani a credere che tutto sia dovuto.
Quante sono le adolescenti (14-15 anni) che si presentano su queste piattaforme con movenze moralmente discutibili e che ricevono centinaia di migliaia di “segui” (i famosi “followers”)? Numeri che si trasformano in guadagni e video che diventano sempre più “spinti” la cui regia viene curata dalle madri di queste piccole prostitute in erba.
Fonte: Wired Italia
Nella mente di un/una giovane scatta, quindi, l’idea di poter raggiungere cifre importanti (almeno se rapportate alla sua età) senza alcuno sforzo. Da qui, la considerazione pessima nei confronti di chi, dopo aver speso anni sui libri per ottenere un titolo di studio e aver vissuto nel precariato per altrettanto tempo, si ritrova ad avere, alla fine del mese, la stessa cifra (o anche meno) del/della quindicenne “social”.
Come si può pensare che una classe formata da persone di questo tipo possa avere rispetto per l’insegnante? Come possiamo pretendere che l’educazione alberghi nella mente di chi considera un “fallito” colui che guadagna una miseria dopo anni ed anni di insegnamento?
“Quello che tu, povero stupido, guadagni in un mese dopo anni di lavoro, io lo guadagno sui social in una settimana”, è il pensiero che tantissimi ragazzi hanno. E come riportato nel titolo, il valore di una persona si misura in “mi piace”, “segui” e nelle cifre che tali click comportano.
Un celebre nome del Pop, Raf, cantava nel 1989 “Cosa resterà di questi anni ’80?”. Erano tempi in cui i sonori “ceffoni” venivano dispensati al fine di educare i propri figli a comportamenti di rispetto e disciplina. Ceffoni a cui molti di noi debbono dire “GRAZIE” perché sono stati l’antidoto contro droga, alcol e cattive compagnie.
Forse oggi dovremmo chiederci: “Cosa resterà di questa generazione rammollita?”. Purtroppo, se non aggiusteremo il tiro, la risposta non potrà che essere una: IL NULLA!
Stefano Boeris