In Italia ormai non solo è evidente, ma sembra sempre più irreparabile la frattura tra le condizioni del nord e del sud
In base al report pubblicato da Italia Oggi, l’indagine annuale su “La qualità della vita”, a cura dell’Università La Sapienza di Roma in collaborazione con Cattolica Assicurazioni, in Italia ormai non solo è evidente, ma sembra sempre più irreparabile la frattura tra le condizioni del nord e del sud.
È vero, nel dettaglio l’indagine non contiene valutazioni psicologiche e sociali che restituirebbero anche un quadro più oggettivo della qualità della vita, che di per sé può significare tanto, ma che dipendendo da troppe variabili soggettive, non misurabili, deve rimanere uno strumento di macroanalisi, focalizzato sui parametri indagati. Ed è evidente che su questo fronte ci sia un problema.
L’indagine tiene conto di 92 parametri divisi nelle categorie: ambiente, lavoro, reati e sicurezza, sicurezza sociale, istruzione e formazione, tendenza demografica, sistema salute, tempo libero, reddito e ricchezza pro capite.
Tranne alcune eccezioni, i servizi, la ricchezza, le opportunità, le buone pratiche, appartengono al nord, si incrociano al centro, si perdono al sud. Puglia, Calabria e Sicilia malissimo.
Le province calabresi si trovano tutte in fondo alla classifica: Catanzaro 87esima, Cosenza 94esima seguita da Reggio Calabria 95esima, Vibo Valentia 100esima e resta 107esima Crotone, ultima in classifica per il secondo anno consecutivo.
Dati schiaccianti, ancora di più a causa della pandemia, che ha messo sottopressione il già precario sistema sanitario nazionale delle regioni in cui corruttele, disservizi, intrecci con mafie, voti di scambio e imprenditoria impura sono stati negli anni raccontati da fatti di cronaca giudiziaria.
E, sebbene l’unione sembri fare la forza, nelle nuove aree metropolitane del centro-nord, al sud sembra accadere l’opposto. Basti vedere la città di Palermo e quella di Catania, relegate rispettivamente alla 106esima e 104esima posizione, precedendo Caltanissetta penultima in classifica.
Le province, oggetto dell’analisi, che continuano a peggiorare, sono quelle del sud, compresa quella di Lecce.
In Puglia, nonostante il tentativo goffo di rappresentarla come una California d’Europa, gli slogan lasciano spazio ad un precipizio nel quale viene risucchiato anche il Salento, che continua a perdere posizioni.
Segno evidente che la prima economia della provincia, il turismo, non sia un’industria ma un fenomeno mai governato, senza reale capacità di amministrare flussi, generare ricadute, ampliare servizi, digitalizzare l’offerta, attrarre nuove domande, valorizzare proposte differenti da quella balneare. Insomma, un mega villaggio estivo, nulla di più.
Non bene le altre province della Puglia. Così, tra la pessima amministrazione pubblica, la scarsità dei servizi essenziali, l’incuria di ambiente e spazi pubblici, l’assenza di prospettive, opportunità e lavoro, la Puglia più che il tacco dello stivale, sembra la punta di un iceberg, di un sud che si schianta contro la propria incapacità di slegarsi dalle condizioni in cui sembra crogiolarsi nella bella vita fatta dal più alto tasso di indebitamento pro capite d’Italia.
Alberto Siculella