La pellicola, tratta dal romanzo “Il buio e il miele” di Giovanni Arpino, ebbe un grande successo di critica e di pubblico e riportò Gassman, ad un ruolo drammatico, seppur velato da momenti di ironia, a tratti anche divertenti
Fausto Consolo, capitano in pensione rimasto cieco e monco alla mano sinistra per via d’una granata esplosagli accidentalmente, è in procinto di partire per Napoli accompagnato dalla recluta diciottenne Giovanni Bertazzi. Fausto è un uomo solo e disperato che maschera la sua angoscia con un atteggiamento cinico e sfrontato. Urla e sbraita senza alcun motivo, beve, insulta chiunque, insomma una persona difficile.
Prima vittima sembra essere proprio Giovanni che lui ribattezza Ciccio. Questo è il prologo di “Profumo di donna”film del 1974 diretto da Dino Risi interpretato da uno straordinario Vittorio Gassman e dal giovane Alessandro Momo. Prima tappa del viaggio verso Napoli è Genova dove Fausto si intrattiene con una prostituta, mostrando ancora una volta il suo lato sfrontato ai limiti del grottesco. Attenzione però, egli se vuole sa essere anche un uomo gentile, non rinunciando tuttavia ad aggredire senza pietà persone che gli appaiono ipocrite e mediocri. Nel suo tragitto verso sud si fermerà anche a Roma per vedere un cugino prete al quale inaspettatamente chiede di avere una benedizione.
Ciccio è sempre più in imbarazzo, non sa mai come comportarsi e non vede l’ora che questo strano viaggio finisca.
Arrivati a Napoli Fausto incontrerà Raffaele un suo ex commilitone, anche lui affetto dalla cecità, ma soprattutto ritroverà Sara, una splendida Agostina Belli, che è da sempre innamorata di lui. L’amore di Sara però è per Fausto solo frutto di pietà e quindi lo rifugge come il peggiore dei mali. Ci sarà un pranzo, della musica, allegria, insomma un clima disteso e tutto sembra andare finalmente per il meglio. In realtà questa apparente serenità nasconde un intento di morte, Fausto infatti ha progettato di suicidarsi insieme a Raffaele.
Dunque, il viaggio, il cinismo, la festa finale, sono come un’ultima cena, l’estremo atto di due uomini infelici che non sopportano più la loro condizione di vita. Tuttavia, come si sa, il destino frequenta strade imperscrutabili, e i due uomini non moriranno. Solo Raffaele resterà lievemente ferito e, come spesso succede, le autorità faranno passare la questione sotto silenzio per evitare uno scandalo.
L’ultima scena, quella in cui Fausto dichiara di essere un vigliacco, di non essere riuscito a premere il grilletto di quella pistola che avrebbe dovuto liberarlo dal disagio di vivere, è l’essenza di tutto il film. L’uomo sfrontato e cinico che rifuge le ipocrisie e la mediocrità, non ce l’ha fatta. Lo specchio di un gesto che non è riuscito a compiere lo riporta alla realtà, all’attaccamento verso l’unica cosa che conta: la vita.
Tutto falso, dunque, tutta una farsa. Ecco però che d’un tratto un raggio di luce si fa strada in questo buio profondo; la vita, si proprio lei, l’essenza di ciò che ci rende liberi di scegliere, di fare o non fare, di esserci o non esserci, come ci insegna Shakespeare, prende il sopravvento, gonfia la vela e riporta a Fausto il coraggio che credeva di aver solo millantato. No, egli non è un vigliacco, è solo un uomo, con le sue paure e le sue debolezze. La corazza si è abassata, dissolta. Ora, che ha attraversato l’inferno, è veramente forte e il chiedere aiuto a Sara, per la prima volta, è il segno del vero coraggio.
Il film finirà con l’immagine di lei che lo aiuta a muoversi nel buio dei suoi occhi. Dunque, non sarà più il profumo di donna a donargli la vista, ma l’amore verso una persona che gli vuole bene e che lo stima oltre le sue debolezze.
La pellicola, tratta dal romanzo “Il buio e il miele” di Giovanni Arpino, ebbe un grande successo di critica e di pubblico e riportò Gassman, dopo una serie di film del genere noto come commedia all’italiana, a un ruolo drammatico, seppur velato da momenti di ironia, a tratti anche divertenti.
Nel 1992 il regista Martin Brest ne fece un remake con protagonista Al Pacino, pellicola senz’altro pregevole, ma assolutamente non all’altezza del film di Risi.
Infine, un ricordo va doverosamente ad Alessandro Momo che morì, non ancora diciottenne, in un incidente in moto pochi giorni prima dell’uscita del film. Della sua morte fu indagata l’attrice Eleonora Giorgi, sua amica e fidanzata, che gli aveva prestato la maximoto, mezzo che egli non poteva guidare non avendo ancora raggiunto la maggiore età.
Lello Mingione