Con la storica sentenza, i giudici dell’Aia hanno ritenuto Putin responsabile di crimini di guerra e contro l’umanità
Da oggi il mondo è più piccolo, almeno per Vladimir Putin. A sfatare le menzogne raccontate dal Cremlino, relativamente ai delitti commessi dal regime “nazista” di Kiev in Donbass, ci ha pensato definitivamente la Corte penale internazionale.
Con la storica sentenza di ieri, i giudici dell’Aia hanno ritenuto Putin responsabile di crimini di guerra e contro l’umanità. Nel caso di specie, viene addebitato al leader russo l’aver deportato in patria, dall’inizio del conflitto, oltre sedici mila minori ucraini. Una carneficina silenziosa, dunque, concepita da Putin per piegare la tenace resistenza dei suoi oppositori e favorirne il repentino sterminio. A tal punto, da convincere i giudici a condannarlo e ad ordinarne l’arresto, qualora mettesse piede in uno dei Paesi sottoposti alla sua giurisdizione.
Oltre a lui, è stata riconosciuta colpevole anche Maria Belova, garante russa per i diritti dell’infanzia, la quale avrebbe coordinato l’operazione, in ossequio agli ordini impartiti da Mosca. Pure per lei vige il divieto di recarsi in una delle centoventitre nazioni firmatarie della convenzione di Roma. A questi si aggiungono, inoltre, trentatre Paesi dell’America Latina, numerosi Stati africani e buona parte dell’Oceania. Gli Stati Uniti, che non hanno ratificato tale documento, si sono comunque detti soddisfatti della decisione e hanno aderito alla richiesta di arresto avanzata contro lo Zar. Essa, seppur non risolutiva ai fini del conflitto in corso, costituisce certamente un punto di svolta.
Dai tempi della strage di Bucha, le denunce contro i crimini commessi dai russi non si sono mai fermate. Le prove fin qui raccolte dalla Procura Generale di Kiev dimostrano, oltre ogni ragionevole dubbio, come tali atrocità non siano stati episodi isolati, connessi al volgere del conflitto, bensì l’effetto di un comune disegno criminale. Tanto che Londra, già lo scorso autunno, si era detta disposta ad ospitare, a conclusione della guerra, il giudizio sulle efferatezze delle truppe russe.
La proposta inglese è, poi, sfociata nella conferenza internazionale dello scorso quattro marzo e di cui la deliberazione odierna si presta ad essere innegabile corollario. Tuttavia, malgrado la sua valenza etica, essa non produrrà nell’immediato effetti concreti. Lo Zar, infatti, può benissimo fare a meno del mondo libero. Già all’indomani delle pesanti sanzioni economiche varate dall’Europa, il capo del Cremlino scelse di guardare ad Oriente, rafforzando i suoi legami con Pechino. Nelle prossime ore, non a caso, giungerà a Mosca, per una visita di Stato, Xi Jinping. L’incontro avrà come obiettivo quello di rilanciare l’amicizia fra i due popoli e discutere di pace e cooperazione.
Per la Cina, infatti, è indispensabile salvaguardare quest’ultima per garantire il pieno sviluppo economico delle nazioni. Una posizione rivendicata anche nella dottrina dei “dodici punti”, integrante il piano di pace predisposto dalla Cina e che guarda al mondo che verrà dopo il 2030. Fra questi spicca la necessità di avviare rapidamente negoziati di pace, sospendendo le sanzioni reciproche e i combattimenti in atto.
Viene poi posto l’accento sull’esigenza di salvaguardare i siti nucleari, astenendosi dal ricorrere all’arma atomica come strumento di risoluzione dei conflitti. Tale prospettiva, invero, sembra più delineare una descalation che una pace equa e duratura.
Non per niente, essa non piace agli Usa. Gli Stati Uniti, infatti, guardano con crescente scetticismo al coinvolgimento di Pechino nei negoziati di pace. Secondo Washington, la presunta neutralità cinese sarebbe speculare agli interessi di Putin di conquistare l’Ucraina.
Il ragionamento dell’amministrazione americana è che un armistizio adesso permetterebbe solo a Putin di riorganizzare le proprie forze e di esercitare un’indebita pressione sul Donbass, in vista della definitiva capitolazione di Kiev.
Infine, ad essere temuta, è la possibilità che Pechino stia armando segretamente Mosca. Al riguardo, gli Usa hanno già ammonito la Cina di non prendere parte al conflitto, pena durissime conseguenze. Ciononostante, il ruolo giocato da Pechino nella disputa in atto è insostituibile. E lo diventa ancora di più nell’ipotesi di possibili disordini nelle ex repubbliche sovietiche.
Dopo l’Ucraina, anche la Georgia ha recentemente sperimentato una rivolta contro il regime filorusso che governa lo Stato. A tale insofferenza si somma quella dei suoi mercenari e che spiegano bene come il cerchio intorno a Putin si stia sempre più stringendo. Lo ha detto, del resto, anche il Procuratore dell’Aia, motivando l’ordine di cattura: nessun uomo, per quanto potente, è al di sopra della giustizia. Non lo sono stati Milosevic, Karadzic, Taylor e tutti quei dittatori sanguinari che hanno scandito le pagine più buie della storia contemporanea.
E, c’è da crederci, non lo sarà neanche Putin, il cui appuntamento con la sbarra è solo momentaneamente rimandato.
Gianmarco Pucci