Cosa comporta l’innalzamento del tetto al contante varato dal nuovo governo?
Tra le prime proposte del nuovo governo in carica troviamo l’innalzamento del tetto dei pagamenti effettuati in contanti dagli attuali 2.000 euro a 5.000 o 10.000 euro. La controversa questione vede il centrodestra schierarsi verso un’inversione della tendenza creata dal precedente governo Conte II, che prevedeva un abbassamento della soglia del contante. Uno dei punti su cui si discute maggiormente è il seguente: la circolazione del contante influenza positivamente – e, se sì, in che misura – l’evasione fiscale?
In un discorso alla Camera, la Neopresidente Giorgia Meloni ha citato l’ex Ministro dell’economia Pier Carlo Padoan, il quale sosteneva che non c’è correlazione tra il limite al contante e l’evasione. Difatti, i governi di cui ha fatto parte – Renzi e Gentiloni nella XVII legislatura – non hanno attuato misure per contrastare la circolazione del contante, anzi hanno innalzato il tetto da mille a tremila euro. Successivamente Padoan, attuale Presidente di Unicredit, cambiò opinione dicendo che alzare il tetto al contante fu un errore.
La grande quantità di dati a nostra disposizione, che necessita sempre di un’attenta interpretazione, ci fanno capire che il contante non può essere considerato l’unico – e nemmeno il preponderante – motivo dell’evasione fiscale, dato che in paesi in cui non è previsto nessun limite alla sua circolazione l’evasione fiscale è ben più bassa che in altri paesi in cui esso viene limitato.
Nonostante le normative europee spingano verso delle società sempre più cashless, esse non vanno considerate come l’unica soluzione ad un problema radicale come l’evasione delle tasse, che per essere risolto necessita di un’oculata analisi e di azioni mirate ed efficaci.
Alberto Fioretti
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