Uno scenario, quello francese, che ci tocca molto da vicino come italiani e che replica, a cinque anni di distanza, lo scontro fra due opposte, e a tratti inconciliabili, idee di nazione
“Parigi val bene una messa” disse Enrico di Borbone, esplicitando il suo desiderio di essere pronto a sacrificare tutto pur di sedere sul trono più ambito di Francia. Un’aspirazione che, a ben vedere, è stata al centro anche della campagna per l’Eliseo di queste ultime settimane. Malgrado la guerra alle porte dell’Europa, il Presidente uscente, Emmanuel Macron, ha deciso infatti di tentare la riconferma, forte del decisionismo manifestato nella gestione della crisi ucraina.
Determinazione che, perlomeno in un primo momento, sembrava averlo premiato nelle intenzioni di voto. In particolare, dopo il discorso celebrato in una piazza di Parigi, dove il Presidente ha delineato una nuova Francia, motore di un’Unione Europea alternativa tanto alla Cina quanto agli USA. Tuttavia, Macron è parso nuovamente lontano dal popolo e dimentico dei suoi problemi. La sua politica sociale ed economica, ritenuta troppo accomodante verso le richieste di Bruxelles, è stata infatti duramente contestata da Marine Le Pen, leader dell’estrema destra francese e principale sfidante di Macron in questo primo turno di ballottaggio.
Le Pen, a dispetto dei pronostici, ha riportato un risultato degno di nota. Partita in sordina, e insidiata alla sua destra da Zemmour, è riuscita nell’intento di ripulire l’immagine del suo partito, conducendo una campagna accurata e molto attenta alle esigenze della gente. Si potrebbe quasi dire che ha cambiato pelle, rompendo definitivamente con la sua storia e accreditandosi come erede del gollismo.
In tal senso, in considerazione anche dell’ottimo risultato riportato dall’estrema sinistra di Jean Luc Melenchon si può, con certezza, quasi dire che queste votazioni hanno certificato il tramonto della Quinta Repubblica francese. Il forte astensionismo e l’uscita di scena dei principali partiti (i repubblicani e i socialisti) hanno, nei fatti, aperto una nuova parentesi nella storia francese ed europea.
Uno scenario che ci tocca molto da vicino come italiani e che replica, a cinque anni di distanza, lo scontro fra due opposte, e a tratti inconciliabili, idee di nazione. Come ha detto Lucio Caracciolo, direttore di Limes Italia, il collasso dei partiti storici della Francia è un indice tangibile della crisi della democrazia. Per Caracciolo è ormai terminata la Quinta Repubblica, “poiché da un lato c’è Macron che crede di essere lo Stato, Melenchon che pensa di essere la rivoluzione e Le Pen che crede di essere il nuovo che avanza”.
Una prospettiva, dunque, assai terrificante, se si pensa che proprio Le Pen è stata sospettata in passato di intelligenza con Putin e la Russia. Tuttavia, su questo pericolo, il direttore di Limes ci ha rassicurato, asserendo che secondo lui poco o niente cambierà nella politica estera transalpina con Le Pen all’Eliseo. Specialmente per ciò che concerne le sanzioni a Mosca, sulle quali Caracciolo pochi giorni fa aveva espresso alcuni dubbi.
Perplessità immediatamente stigmatizzate dall’ineffabile Gianni Riotta, ex direttore del Sole 24 Ore ed oggi apprezzata firma di Repubblica, che ha inserito Caracciolo nella sua, ormai nutrita, lista di proscrizione. In vero, la black list di Riotta ha già sollevato polemiche nel panorama intellettuale. Soprattutto, perché un siffatto modo di argomentare rischia di legittimare le opinioni di quanti in queste ore stanno difendendo l’assurda guerra di Putin.
Obiezioni alle quali non si può certamente replicare sfoderando le liste di proscrizione di Silla. Ma solo consentendo platonicamente a tutti di potersi esprimere, pur nella diversità delle proprie convinzioni.
Gianmarco Pucci