Risulta evidente che, a prescindere dalle rassicurazioni degli USA, il nostro Paese non è indenne da interferenze straniere
La scorsa settimana ha destato molto scalpore la notizia di presunti finanziamenti russi ad alcuni partiti politici europei. A rivelarlo, come è noto, è stato il Dipartimento di Stato USA, il quale ha puntato l’indice verso quelle forze politiche sovraniste che da anni minano la compattezza dell’UE. Fra questi partiti, finiti nel novero dei sospetti, non vi sarebbero, fortunatamente, quelli italiani.
Malgrado, infatti, le becere asserzioni contro l’Europa che abbiamo udito in questi anni, nessuno di essi avrebbe le casse colme di rubli.
Ciononostante, questa notizia non dovrebbe essere presa alla leggera. Se non altro, perché getta un’ombra cupa sul futuro dell’Europa. Infatti, accanto ai combattimenti sul campo, troppo spesso finisce per prevalere una dimensione ulteriore, collaterale a quella che segue il corso degli eventi. Si tratta della guerra sporca delle spie, ovvero di quel tipo di guerra non convenzionale condotta per sottrarre informazioni e conoscere i punti deboli del nemico.
Una guerra certamente meno edificante di quella ufficiale, ma altrettanto subdola e pericolosa, dove non ci sono grandi ideali, ma solo oscuri compromessi. Tale fattispecie era conosciuta fin dai tempi dei romani, ma ha raggiunto il suo apice solo nel secolo scorso.
Emblematico, in tal senso, è stato il caso di Mata Hari, famosa danzatrice olandese reclutata come spia dalla Germania durante la Grande Guerra. Ella, proveniente da una famiglia agiata della Frisia, venne assoldata dal console tedesco all’Aia che la incaricò di sorvegliare le truppe francesi stanziate presso il teatro di Vittel. La sua eccessiva disinvoltura, tuttavia, destò da subito dei sospetti.
Il controspionaggio franco-britannico era convinto fosse una spia e l’arrestò una prima volta già nel dicembre del 1916 a Falmouth, vicino Londra. A condannarla non furono però gli inglesi, ma i tedeschi, i quali denunciarono Mata Hari per tradimento, dopo che questa aveva rivelato al nemico la posizione di alcuni suoi sottomarini al largo delle coste del Marocco. Venne, dunque, nuovamente arrestata, processata e condannata a morte in Francia. Inutile fu il tentativo di chiedere la grazia presidenziale.
Mata Hari venne giustiziata presso il castello di Vincennes, alle porte di Parigi, la mattina del 15 ottobre 1917.
Una storia che si è replicata ai giorni nostri e che ha visto per protagonista un’altra donna, questa volta russa, riuscita ad eludere la sicurezza della base NATO di Napoli. Secondo la ricostruzione di Repubblica e dello Spiegel, che hanno seguito l’inchiesta, questa si sarebbe infiltrata circa un anno fa nel quartier generale dell’Alleanza Atlantica allo scopo di sottrarre informazioni riservate.
Sfruttando le proprie frequentazioni di alcuni circoli mondani partenopei, la donna si sarebbe fatta assumere dalla Marina USA e avrebbe spiato le conversazioni dei suoi vertici militari. Fonti americane riferiscono che la scoperta della spia sarebbe avvenuta casualmente, dopo che questa ha abbandonato la base per far ritorno in Russia, esibendo un passaporto del GRU, il servizio segreto militare di Mosca.
Non è noto quali notizie possa aver appreso, ma è certo che l’episodio rappresenta la più grande operazione d’intelligence russa sul suolo italiano.
Come, del resto, sempre in Italia è avvenuta la scoperta di un’altra spia al soldo di Mosca. Stiamo parlando, ovviamente, di Walter Biot, ufficiale della Marina italiana di stanza presso lo Stato Maggiore della Difesa.
Secondo la magistratura militare, Biot avrebbe ceduto informazioni top secret ai russi per 5000 euro. L’ufficiale, già da tempo sospettato di intelligenza con Mosca, adesso rischia l’ergastolo per alto tradimento e la radiazione dalla Marina.
Stessa sorte toccata a un suo collega francese, arrestato a Napoli nel 2020 dai servizi d’oltralpe con l’accusa di essersi venduto ai russi. Risulta, allora, evidente che, a prescindere dalle rassicurazioni degli USA, il nostro Paese non è indenne da interferenze straniere. Lo dimostra il fatto che il tema della Russia sta agitando, come non mai, la campagna elettorale in corso. L’ambiguità di Matteo Salvini sui suoi rapporti con il partito di Putin e la vicinanza di Giorgia Meloni all’Ungheria di Viktor Orban suscitano, non a caso, dubbi e interrogativi sulla trasparenza di quanti ancora mantengono un contegno indulgente verso l’autocrazia putiniana. Quella stessa autocrazia che, pur di salvare sé stessa, non esita a massacrare un popolo inerme e a ricorrere a tutti i mezzi pur di beffare le democrazie occidentali.
Anche ad assoldare un esercito segreto di spie, capace di influenzare il corso di una guerra dagli esiti sempre più imprevedibili.
Gianmarco Pucci