Un buco rimasto opprimente per tutti coloro che non dimenticano Agostino Di Bartolomei, “il capitano dei capitani” della Roma
Questa è la storia di un calciatore, tanto forte in campo quanto fragile nella vita, vittima della sua sensibilità e della sua generosità, che si tolse la vita a soli 39 anni su una terrazza affacciata sul mare del Cilento. È la storia di Agostino Di Bartolomei, “il capitano dei capitani” della Roma.
Agostino nacque l’8 aprile 1955 a Roma nel quartiere Tor Marancia. Seguito attentamente dai genitori che gli trasmisero i valori della famiglia e dell’educazione, Ago frequentò l’oratorio del San Filippo Neri alla Garbatella dove mosse i primi passi calcistici mostrando di possedere quelle doti che lo renderanno campione in futuro. Taciturno, schivo, e riservato, privilegiava lo studio al gioco e avrebbe desiderato diventare un valente avvocato piuttosto che un calciatore professionista. Iniziò il percorso calcistico nell’OMI, società del suo quartiere, per poi proseguirlo nelle giovanili della squadra giallorossa, una eccellenza all’epoca per merito del presidente Gaetano Anzalone. In prima squadra Ago esordì appena diciottenne e disputò undici stagioni con la maglia della Roma (con la parentesi di un anno in prestito a Vicenza) totalizzando 308 presenze condite da 66 gol.
Dalla fine degli anni ’70 divenne capitano dei giallorossi. La svolta di vita fu l’incontro con Marisa, capace di infondergli sicurezza, di ammorbidire i suoi silenzi, di smussare i lati malinconici del suo carattere. Dalla loro unione nacque Luca, unico figlio di Agostino. Di Bartolomei divenne rapidamente una colonna della Roma, centrocampista pensante, implacabile nei calci piazzati con il suo potentissimo destro. Resta il rammarico che un calciatore così forte non abbia mai vestito la maglia della Nazionale.
Fonte: Sport popolare
Con l’avvento di Adino Viola alla presidenza, la formazione capitolina nei primi anni ’80 divenne l’antagonista per eccellenza della potente Juventus. Niels Liedholm, tecnico fondamentale per la carriera del capitano, aveva impostato il gioco su Di Bartolomei e Falcao, i due cervelli della squadra assai diversi tra loro a livello caratteriale. La Roma vinse lo scudetto nel 1983 grazie anche alla geniale mossa del tecnico svedese di arretrare il capitano in difesa mettendogli accanto il velocissimo Vierchowod che sopperiva alla lentezza di Ago. E nella stagione successiva la Roma arrivò ad un passo dalla conquista della Coppa dei Campioni persa all’Olimpico in finale contro il Liverpool ai calci di rigore, nonostante la realizzazione di Agostino dagli undici metri con il suo classico calcio potente di collo destro.
Per la stagione successiva, il Presidente Viola decise di affidare la panchina a Sven Goran Eriksson il cui sistema di gioco basato sul pressing non prevedeva l’utilizzo di Di Bartolomei. Ago ebbe la sensazione di essere stato allontanato senza un minimo senso di gratitudine e con animo ferito seguì Liedholm al Milan. L’esultanza di Agostino per un suo gol segnato a San Siro contro la Roma provocò il risentimento dei tifosi giallorossi che attesero la gara di ritorno all’Olimpico per fischiarlo sonoramente. Quei fischi a lui indirizzati furono una mazzata per l’ex capitano anche perché quella esultanza non era certo di irriverenza verso la gente che lui ha sempre amato. In seguito, Ago giocò con le maglie del Cesena e della Salernitana, dove chiuse la carriera con il raggiungimento della promozione in serie B.
Appesi gli scarpini al chiodo, Agostino decise di stabilirsi con la famiglia a San Marco di Castellabate, paese d’origine di Marisa, dove fondò con tante difficoltà burocratiche e ingenti investimenti una scuola calcio per insegnare ai ragazzi un modello etico di vita e di gioco. Al contempo propose alla Roma e ad altre società progetti per politiche sportive giovanili che però non trovarono gli sperati riscontri anche perché Ago era assai pudico nelle richieste.
Fonte: The Bottom Up
Ripresero vigore le sue fragilità, avvertì irriconoscenza nei suoi confronti ed il peso di un fallimento per quei progetti che si erano sgretolati davanti i suoi occhi. Il 30 maggio 1994, a dieci anni di distanza dalla finale di Coppa dei Campioni, si tolse la vita con un colpo di pistola mirato al cuore in un dramma interiore tra quello che era Agostino e quello che rappresentava Di Bartolomei. Un gesto che Luca, all’epoca undicenne, non riuscì a perdonare tanto da chiamarlo per lungo tempo Agostino e non papà.
Fonte: Il Riformista
“Mi sento chiuso in un buco” sono state le ultime parole scritte da Ago in un biglietto destinato a Marisa prima di togliersi la vita. Quel buco rimasto opprimente per tutti coloro che tuttora amano e non dimenticano Agostino Di Bartolomei.
Gian Luca Cocola