L’eroismo dell’uomo che cento anni fa sfidò Benito Mussolini e pagò con la vita il suo gesto rivoluzionario
“Contestiamo in questo luogo e in tronco la validità delle elezioni della maggioranza, poiché, per vostra stessa ammissione, nessun elettore italiano si è trovato libero di decidere secondo la propria volontà”. Con queste parole si apre, il 30 maggio 1924, il discorso alla Camera dei deputati dell’onorevole Giacomo Matteotti, segretario del Partito socialista unitario. Nell’esporre i fatti, Matteotti sentì il dovere civico e morale di denunciare la deriva autoritaria intrapresa dal governo di Benito Mussolini. Deriva, resa palese dal grave clima di intimidazione nel cui gli italiani votarono appena un mese prima e che di lì a poco avrebbe consegnato il Paese alla più scellerata delle dittature.
Nel suo intervento, Matteotti denunciò come il fascismo, in quel momento ancora contenuto entro i canoni della legalità istituzionale, avesse manipolato il voto a suo favore. Ricorrendo a massicci brogli e all’intervento degli squadristi, fedeli esecutori delle direttive del Presidente del Consiglio, il listone di Mussolini si vide attribuita una maggioranza bulgara in parlamento, pari a circa i 2/3 dei seggi. Secondo Matteotti, la milizia popolare, in accordo con le prefetture, si sarebbe preoccupata di garantire questo risultato, assicurando così al fascismo un granitico consenso. Soprattutto nel caso in cui questo fosse venuto precocemente a mancare.
Fonte: Wikipedia
Tale accusa valse da sola a condannare il coraggioso deputato il quale, al termine del suo intervento, ingiunse ai suoi compagni di partito di preparare per lui il discorso funebre. Come prevedibile, appena dieci giorni dopo, Matteotti venne rapito da un gruppo di squadristi, capitanati da Amerigo Dumini.
Secondo le ricostruzioni storiche, la mattina del 10 giugno, Matteotti si stava recando alla Camera per partecipare al voto sul bilancio dello Stato. Giunto sul Lungotevere, alcuni uomini lo fermarono e lo caricarono a bordo di un’auto scura. Qui fu picchiato e poi accoltellato. Il cadavere fu trovato solo il 16 agosto, ma la responsabilità dell’omicidio fu subito chiara. Per alcuni mesi Mussolini negò di essere il mandante del delitto, chiudendosi in un eloquente silenzio. Fu questo il periodo di maggiore crisi del nascente regime fascista. Ovvero il momento in cui le opposizioni parlamentari, sull’onda dello sdegno per questo efferato delitto, avrebbero potuto defenestrare Mussolini. Ma ciò non avvenne, preferendo essi disertare i lavori parlamentari e ritirarsi sull’Aventino.
Fonte: Rai Scuola
Fonte: Fondazione Giacomo Matteotti – Altervista
Una decisione che risolse rapidamente la crisi di governo, spianando la strada per l’instaurazione della dittatura. Nel discorso del 3 gennaio 1925, Mussolini rivendicò la paternità del delitto, con parole ferme e tuonanti. Innanzi a un parlamento ridotto ormai a mero bivacco per i suoi seguaci, il Duce difese gli assassini di Matteotti, definendoli espressione di una “passione superba della migliore gioventù italiana”. Si attribuii, infine, i pieni poteri su tutta la Penisola.
Nelle quarantotto ore successive, l’esecutivo provvide infatti a sciogliere partiti, associazioni e sindacati ostili ad esso, sopprimendo ogni libertà statutaria. Entrarono, dunque, in vigore le Leggi fascistissime e con esse fu inaugurato il più buio periodo della nostra storia nazionale, destinato a protrarsi per oltre vent’anni e a concludersi con il dramma della Seconda guerra mondiale. Si dice che ogni brillante carriera ha un omicidio eccellente alle sue spalle.
E quello di Matteotti è, certamente, quello su cui il regime mussoliniano ha fondato le sue effimere fortune. In tal senso, le ultime parole di Giacomo Matteotti, rivolte ai suoi assassini prima di essere ucciso, sono state quanto mai profetiche. “Potrete uccidere me, ma l’idea che è in me non l’ucciderete mai” è una frase che racchiude in sé i valori su cui si è fatta la Resistenza e da cui è poi nata la Repubblica. Essa, nondimeno, è il verbo insostituibile che accompagna l’azione di tutti coloro che, in ogni epoca, di fronte alle ingiustizie e ai soprusi del potere non girano lo sguardo dall’altra parte. Una lezione che diventa fondamentale soprattutto guardando ad oggi.
Con un’Europa preda di tentazioni autoritarie e pericolosamente vicina a un nuovo conflitto mondiale, l’eroismo di Matteotti ci dimostra che spesso il gesto di uno solo è sufficiente a garantire la libertà di tutti. Del resto, diceva Churchill, che il coraggio è la prima delle qualità umane, perché permette tutte le altre.
Un invito chiarissimo ad andare controcorrente, specialmente quando i tempi non sembrano lasciare alternative alla libera azione di ognuno di noi.
Gianmarco Pucci