Lo smart working non si limita a un luogo o una tipologia di lavoro, ma indica un nuovo modo di vivere, che non riguarda il singolo individuo, bensì l’intero tessuto sociale
Negli ultimi anni abbiamo imparato a contare il tempo prima e dopo la pandemia. Un periodo breve ma intenso. Una cesura tra il vecchio e il nuovo, tra quello che era e quello che non solo è ma sarà. La storia è piena di rotture e di ricostruzioni. E quello che viene dopo sarà sempre qualcosa di diverso, di più innovativo e funzionale a quello che c’era.
Un discorso valido per tutto, anche per il lavoro. O meglio, per l’organizzazione del lavoro, autonomo e subordinato. Organizzazione non circoscritta al solo ambiente lavorativo, ma a tutto quello che ruota intorno, alla vita privata delle persone, alla gestione del proprio tempo e del proprio spazio. Tempo e spazio, i due fattori che determinano la nostra esistenza, bruscamente rimodellati durante il lockdown.
Da qui la riflessione aperta nel libro Lo Smart working tra libertà degli antichi e quella dei moderni, a cura di Francesco Maria Spanò, Direttore People & Culture dell’Università Luiss Guido Carli ed edito da Rubbettino Editore.
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Tempo e spazio sono stati re-immaginati, rifatti su misura da e per ciascun individuo. Una nuova libertà acquisita e impossibile da ignorare. E flessibilità è la parola chiave. Parlare di lavoro e libertà può sembrare, per certi aspetti, un ossimoro. Il concetto stesso di lavoro, infatti, implica sempre un inevitabile coefficiente di coordinamento e controllo, conseguenza del fatto che siamo degli esseri sociali, che dobbiamo, cioè, continuamente co-adattare le nostre azioni a quelle degli altri.
Il mutamento che sta operando lo smart working è un fenomeno complesso, che non può essere lasciato a sé stesso e che sicuramente spaventa molti. Ci si chiede, per esempio, se esso sia in grado di aumentare la disoccupazione, qualora la tecnologia impiegata fosse in grado di “rimpiazzare” l’attività umana, o ancora, se possa acuire le differenze sociali o l’individualismo esasperato, generando in molti la patologia dell’abbandono. Al contempo, la crisi riguarda anche lo spazio come dimostra il collasso contemporaneo di interi quartieri, all’interno delle grandi metropoli, non più adatti ai nuovi modelli di lavoro e in cui le aziende scelgono di lasciare i dipendenti a casa per ridurre i costi e i lavoratori dimostrano di preferire lo smart working.
Nella storica querelle su un equilibrio, sempre instabile, tra libertà e democrazia, si parla in questo libro di un nuovo equilibrio tra “luogo” e “non luogo” – spazio atopico di libertà e autorealizzazione. Lo smart working, che il libro vuole ridefinire in una chiave di lettura più ampia del termine, infatti, non si limita a un luogo o una tipologia di lavoro, ma indica un nuovo modo di vivere, che non riguarda solo il singolo individuo, bensì l’intero tessuto sociale.
Adesso è tempo di raccogliere i frutti dello smart working. Non retrocedere ma ripensare gli spazi e i tempi. Anche se in Italia, dopo la pandemia si è preferito tornare alla “normalità”. E c’è da chiedersi, quale normalità? Perché lo smart working non può essere normalizzato, istituzionalizzato, incorporato nelle policy aziendali e delle pubbliche amministrazioni come non solo uno strumento eccezionale ma un nuovo modo più agile e flessibile di lavorare? Perché abbiamo sentito la necessità di tornare indietro, di annullare un fenomeno ormai irrefrenabile? Perché non si dà ascolto alle nuove generazioni, a tutti quei giovani che entrano nel mondo del lavoro con richieste sempre più esigenti sulla libertà di decidere come organizzare il proprio lavoro e quindi il proprio tempo?
Rimanere inchiodati a una forma, ormai passata, di lavoro, guardare al futuro con gli occhi di ieri, tentare di ristabilire un ordine antico, è uno sforzo inutile e dannoso. Una restaurazione il cui fallimento è già annunciato. Abbandonare la libertà degli antichi per abbracciare la libertà dei moderniequivale, quindi, a entrare in un contrapposto universo culturale. Tale fenomeno epocale tra nuovo e vecchio mondo rappresenta una nuova libertà acquisita e, in quanto tale, va favorito, richiedendo risposte rapide e adeguate.
Susanna Fiorletta