“Dimmi dove è andato Giovanni, dove sta, la vita spesa per un obiettivo e contro una mentalità, che ha strozzato una regione e una città. Puoi mettere le bombe. Ma ammazzi l’uomo, mica l’onestà“
La Collina, Lucci – Brokenspeakers
Anche quest’anno il nostro Paese ha onorato le vittime delle stragi di Capaci nella quale persero la vita il giudice Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i componenti della scorta Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani. Tanti lenzuoli bianchi a sventolare sulle strade vuote, come avvenne pochi giorni dopo la strage, quando a Palermo prese piede il comitato dei lenzuoli e i cittadini riempirono di bianco la città, gridando la propria rabbia e la propria indignazione nei confronti dei mafiosi. Le confessioni del pentito Buscetta, i 366 mandati di arresto, il risveglio della città di Palermo, stanca di vivere nella paura e di essere schiava del malaffare, le idee di libertà che Falcone ispirava, erano fendenti dolorosissimi per i mafiosi.
Tommaso Buscetta, “don Masino”, che nella guerra scatenata da Totò Riina aveva perso due figli, un fratello, un genero, un cognato e quattro nipoti, fu arrestato in Brasile e poi estradato in Italia. Decise di collaborare ma voleva parlare solo con il numero uno del pool palermitano: Giovanni Falcone. Buscetta dichiarò di fidarsi solo di lui. E disse a Falcone, come raccontò il magistrato stesso nel libro Cose di Cosa Nostra: «L’avverto signor giudice. Dopo questo interrogatorio lei diventerà una celebrità. Ma cercheranno di distruggerla fisicamente e professionalmente. Non dimentichi che il conto che ha aperto con Cosa Nostra non si chiuderà mai. È sempre del parere di interrogarmi?». Falcone lo interrogò e Buscetta parlò. Risultato: centinaia di arresti. “Prima di lui – spiega sempre il giudice nel suo libro – non avevamo che un’idea superficiale del fenomeno mafioso. Con lui abbiamo iniziato a guardarvi dentro. Ci ha fornito numerosissime conferme sulla struttura, le tecniche di reclutamento, le funzioni di Cosa Nostra. Ma soprattutto ci ha dato una visione globale, ampia, a largo raggio del fenomeno”.
Ma la storia di quei giorni, mesi, anni, la ritroviamo nei libri e nelle testimonianze dei protagonisti. Il nostro dovere su questo giornale è un altro: dare voce a quelle idee, anche con un semplice commento. Perché l’importante è che se ne parli sempre, che si discuta di quelle gesta, di quella guerra, di quel sangue versato, di tutte le centinaia di persone che hanno sacrificato la vita per combattere la mafia, il pensiero ed il metodo mafioso. Quanti politici sono caduti sotto il piombo mafioso per non aver voluto accettare i ricatti? Quanti innocenti hanno perso la vita ingiustamente e quanti si sono visti portare via tutto per mano di chi si sentiva arbitro in terra della vita e della morte? Da eroi come Falcone e Borsellino, Peppino Impastato o Pio La Torre, non si può far altro che imparare. Ci chiediamo cosa sia il coraggio? Abbiamo la risposta. Ci chiediamo cosa significhi scontrarsi contro il proprio sangue? Abbiamo la risposta. Ci chiediamo cosa significhi fare politica e non piegarsi mai di fronte al malaffare? Abbiamo la risposta.
Jacopo Gasparetti