Cosa ci dice lo spostamento della capitale indonesiana e quello di diverse altre nel mondo?
Poco più di un anno fa nel gennaio del 2022, il presidente indonesiano Joko Widodo ha ufficialmente annunciato l’inizio dei lavori per la costruzione di una nuova capitale, dopo che già nel 2019 aveva palesato questa intenzione, profilando un investimento di 32 miliardi di dollari.
La nuova città prenderà il nome di Nusantara, traducibile in “arcipelago”, riflettendo la conformazione geografica e fisica dell’Indonesia e sarà, sulla carta, operativa nelle sue funzioni essenziali entro la fine del 2024, sebbene i lavori continueranno secondo fasi successive fino al 2045. Ma quali sono i motivi che hanno portato il governo a una simile decisione?
Attualmente la capitale dell’Indonesia è Giacarta, cuore pulsante di uno degli stati più popolosi al mondo con i suoi 270 milioni di abitanti, la quale, tuttavia, è tristemente nota per i suoi cruciali problemi di inquinamento e inurbamento incontrollato; basti pensare che il suo centro costituisce dimora per 11 milioni di abitanti che diventano 30 milioni se si considerano gli agglomerati. Un tale scenario urbano è, inoltre, causa dell’aggravarsi di un fenomeno geologico naturale che potrebbe portare all’estinzione stessa della città: la subsidenza.
Brevemente, la subsidenza consiste nell’abbassamento del livello del suolo, solitamente dovuto a motivi di riassestamento delle placche terrestri o comunque da ricercarsi nella storia geologica di un luogo; nel caso di Giacarta, però, ciò è amplificato dall’estrazione di acqua, necessaria per soddisfare le richieste idriche dei suoi abitanti. Anzitutto, è bene sottolineare che l’odierna capitale indonesiana si erge su circa 500 metri in profondità di strati argillosi e sabbiosi, sulla superficie dei quali trovano il proprio alveo 13 fiumi. L’amministrazione della città riesce a soddisfare solamente il 40% delle richieste di acqua, dando vita a un’estrazione selvaggia e illegale, seppur originata dalle necessità, la quale sta, sostanzialmente, prosciugando il sottosuolo. In questo modo gli strati di materiale argilloso si compattano tra loro, diminuendo lo spessore totale, portando, di conseguenza, a un abbassamento del livello del suolo cittadino. Si calcola che la città stia sprofondando a un ritmo compreso tra 1 e 15 cm l’anno, a seconda delle zone, anche se, in realtà, la parte nord che si affaccia sul mare di Giava ha raggiunto i 2.5 metri di dislivello nel corso degli ultimi 10 anni.
Uno scenario preoccupante tanto che gli esperti ritengono verosimile un inabissamento entro il 2050, con gli interventi messi in atto finora o in programma nel futuro prossimo che potranno al massimo allungarne la vita di un paio di decadi, senza riuscire a evitarne il tracollo. L’Indonesia, dunque, si aggiunge alla conta degli stati che hanno scelto di ricollocare la propria capitale, come il Brasile, l’Australia, la Nigeria.
Alla base di queste scelte, pur essendo, ognuna, caratterizzata da sfumature peculiari, si ritrova un comune denominatore nella ricerca di una maggiore equità tra le varie regioni del Paese, stimolare lo sviluppo in zone più interne, in aggiunta alla risoluzione di questione etnico-religiose.
Ad esempio, trasferendo la capitale da Lagos ad Abuja nel 1990, l’obiettivo era anche quello di mediare nella storica conflittualità fra cristiani e musulmani che popolano il sud e nord del paese, collocando geograficamente la capitale come ponte tra essi.
Diminuire la disparità fra centri urbani e zone rurali, promuovendone lo sviluppo, era uno degli obiettivi di Brasilia, ma si può ritrovare pure nel caso esaminato di Nusantara: l’Indonesia è composta da circa 18000 isole, ma più della metà della popolazione risiede nell’isola di Giava, dove si trova Giacarta, così come il benessere economico che è qui concentrato nonostante la ricchezza di risorse naturali presenti in altre aree del paese.
D’altro canto, la vivacità di una città non si può creare da un giorno all’altro, in quanto il settore privato non necessariamente sceglie di adattarsi e seguire la ricollocazione decisa dallo stato centrale, come testimoniato da Sejong, in Korea del Sud. Nel 2012, infatti, una buona parte degli uffici governativi è stata spostata qui da Seul.
Certo è che il sito della nuova Nusantara è oggigiorno occupato da una foresta tropicale, oasi naturalistica habitat di specie rare, che sarebbe chiaramente devastato dal nuovo insediamento. A tal proposito, il governo si è affrettato a rassicurare sulla sostenibilità e vocazione green della futura metropoli, anche nei confronti delle popolazioni indigene che vivono nelle zone circostanti; tuttavia, è sempre difficile riconoscere a priori la veridicità di simili intenzioni. In conclusione, solo il tempo potrà promuovere la lungimiranza della compagine asiatica.
Qualunque sia l’esito, il (de)merito sarà da suddividere tra pubblico e privato, considerando che “solamente” il 19% dell’investimento è interamente pubblico, mentre il resto della quota deriva da collaborazioni con le imprese e investimenti privati, ognuno accomunato dallo stesso dubbio: utopia o salvezza?
Alberto Fioretti