A due anni di distanza l’accordo italo-francese sembra una “voce dal sen fuggita”
Un paio d’anni fa, in seguito alla visita del Presidente francese Macron a Roma, Italia e Francia firmarono un nuovo trattato di cooperazione straordinaria, il cosiddetto Trattato del Quirinale. Alla sua firma era presente anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Il trattato è composto di dodici articoli che trattano diversi temi: per gli affari esteri Italia e Francia si erano impegnati a cooperare per migliorare le relazioni dell’Unione Europea con il continente africano, contrastando i flussi migratori irregolari e favorendo la creazione di partenariati strategici; per sicurezza e difesa si punta a creare una cultura strategica comune in termini di difesa militare; entrambi i governi avrebbero dovuto agire per facilitare la realizzazione della doppia transizione digitale ed ecologica dell’economia europea.
Fonte: Corriere della Sera
All’articolo 11, dedicato all’organizzazione, veniva disposta la creazione di un Vertice intergovernativo annuale nel quale le parti verificano l’attuazione dei punti sopracitati ed “esaminano ogni questione prioritaria d’interesse reciproco”.
Infine, “Un membro di Governo di uno dei due Paesi prende parte, almeno una volta per trimestre e in alternanza, al Consiglio dei ministri dell’altro Paese.” Il Trattato del Quirinale fu l’ennesima conferma che l’entrata in scena di Draghi era stata molto apprezzata sia dai nostri partner europei che dagli investitori internazionali. Apprezzamento confermato da questo accordo di amicizia e dalla condivisione degli obiettivi delle due repubbliche, che avrebbero potuto consegnare all’Italia e alla Francia una certa leadership dell’Unione Europea, affiancando la Germania, la quale per questioni economiche sta sempre al primo posto. I concetti erano sempre gli stessi: gli Stati europei devono cooperare in funzione della consolidazione di una sovranità sempre meno nazionale e più europea. I governi, pertanto, dimostravano di puntare a scacciare il sovranismo nazionale sostituendolo con quello europeo.
Tuttavia a due anni di distanza dal detto accordo, a fronte anche dell’avvicendamento alla carica di Presidente del Consiglio, che cosa rimane del nucleo centrale di quest’intesa? Tutto ciò dimostra, se ce ne fosse ancora bisogno, che molto spesso queste dichiarazioni di principio, vaghe e generiche, rimangono su carta, anche ovviamente, ma non solo, a causa del cambio degli esecutivi che risulta deteriore sul piano di politiche di ampio respiro.
Alberto Fioretti