La mente lavora per affinità e somiglianze, codifica immagini mentali, raggruppa e infine identifica
Per cominciare le mani distrutte. La rottura del quinto metacarpo e il taglio del tendine nel mignolo destro.
Pandemia, isolamento e quarantena, poi l’enorme ricettacolo di paure e disturbi che White King insegue sulla tela. L’ansia impellente di agire, di produrre tutto e subito: non c’è più tempo, sembra ripetere ogni suo quadro ponendosi paradossalmente fuori dal tempo.
In un’epoca in cui vige la fobia del tocco, White King lavora su opere tattili. Un gesto provocatorio? No, solo l’espressione sincera e disarmante di chi vive l’arte come sentimento. È quest’urgenza, questa bulimia creativa a rendere così vivi lavori che sembrano fatti di carne, sudore e sangue.
Fonte: Archivio fotografico White King
Opere fisiche, fughe materiali e tangibili, tele dal cuore pulsante impegnate in un dialogo continuo con chi le guarda. Il gesto creativo di quest’artista è perennemente volto a scoprirci dentro, sospeso tra la paura e il desiderio di perdere il controllo. In quella zona liminale, tra timore e tremore, emerge l’attesa di qualcosa di impossibile, qualcosa di sacro che potrebbe arrivare a retro illuminare il quadro. Bisogna solo saper aspettare.
White King, classe 1995, è una figura inquieta e sfuggente. Eclettico in ambito musicale e artistico, animalista con una passione smodata per i rettili, è capace di infondere un’anima musicale alla sua pittura. La sua è una sperimentazione folle e ardita: all’inizio le sue opere, circoscritte nell’ambito del disegno e dell’arte digitale, mischiano tecniche di acrylic pouring, pendulum, spin art e acrylic painting. Emerge presto l’utilizzo di nuove modalità estetiche, derivate dall’accostamento di tecniche già esistenti come il “Pouring in pouring o “Pouring on pouring”: i soggetti nascono dallo sgocciolio dell’acrilico in eccesso su un quadro precedente. Dall’astrazione all’estrazione: le figure sembrano comporsi da sole in un processo magico ininterrotto.
La scoperta del pouring segna un momento rivoluzionario, quello che gli permette di dare origine ai corpi: White King mostra come ogni essere vivente sia formato da cellule e ricorda il piano di uguaglianza su cui tutti ci collochiamo. Attraverso serie come “Smemagold” e “Lemon Frost”, l’artista ha modo di perfezionare le tecniche fino a scoprire prodigiosamente dove l’ha condotto la sua mano.
L’aspetto più seducente del suo lavoro è quello che porta White King a dipingere come fosse sotto ipnosi, in uno stato di trance dove nulla può essere prestabilito. Questo gesto lo guida in territori inesplorati mentre il colore supera le frontiere della nostra immaginazione.
Fonte: Archivio fotografico White King
Solo a posteriori, White King si rende conto della strada che ha percorso: in questo risveglio, al cospetto dell’opera finita, l’artista prende consapevolezza del proprio gesto.
È così che nasce il “Pouring Figurativo Spin Art” (non controllato) o “Arte Impossibile”. Impossibile perché ha a che fare con l’origine delle immagini, con la loro unicità. In epoca di riproducibilità tecnica, di algoritmi e copie conformi, White King realizza opere impossibili da rifare: esse rappresentano un unicum che nega qualsiasi possibilità di riproduzione o di falso.
Ritorna all’improvviso, nelle profondità della tela, quell’aura sacra di cui Walter Benjamin parlava più di ottant’anni fa. Qui le onde di colore vengono distribuite su varie porzioni della tela tramite forza centrifuga. Si espandono, creano spessore, disegnano figure e volumi.
Ci si potrebbe chiedere come questa massa densa, una volta diffusa, possa assumere forme specifiche. C’è qualcosa che supera i calcoli di probabilità, che non risponde ai dettami di una scienza esatta, qualcosa che eccede qualsiasi imperativo razionale. È così che White King distrugge la sua mania di controllo: perdendolo, abbandonandosi tra le braccia di un destino dalle forme impossibili.
E, come da tradizione romantica, più le condizioni si fanno avverse più White King trova il terreno privilegiato per creare.
Eppure, l’occhio si fa scheggiato, l’artista è condannato a un destino bipolare: una scissione tra White King e la sua opera, tra il momento inconscio della pittura, dove la furia creativa si manifesta in tutta la sua ebbrezza, e un momento razionale dove White King esce dal labirinto di forme in cui si era perso e analizza il proprio lavoro.
Fonte: Archivio fotografico White King
Non è un caso se l’artista descrive questi momenti parlando di sé in terza persona: non per mancanza di umiltà ma perché vive la pittura come esperienza estatica di ispirazione pura. D’altronde la dimensione estatica è riconducibile a quel senso di sacro che i suoi colori riescono ad emanare, a quel bisogno di forme in un mondo sempre più liquido e sintetico. L’inconscio prende il sopravvento, White King si perde tra i pensieri e le astrazioni.
Arriviamo all’ultimo livello, quello dello spettatore. Il “Pouring Figurativo Spin Art” gli permette di essere finalmente libero dalle dittature di senso precodificato. Egli si trova di fronte a opere aperte, impossibili da catalogare. Procede aprendo le porte della sua percezione, stimolato solo da libere associazioni. White King, del resto, opera in maniera piuttosto analoga a quella dei surrealisti: la sua pittura automatica sembra dialogare con la loro scrittura automatica.
Lui lavora su oscillazioni di colore, loro su parole: sarà lo spettatore ad associare liberamente questi movimenti a forme codificabili. La mente lavora infatti per affinità e somiglianze, codifica immagini mentali, raggruppa e infine identifica. È lo spettatore stesso a perdersi nel labirinto di forme e colori che l’opera di White King rappresenta.
Cristian Epifani