Il caso del pandoro benefico Pink Christmas
La vicenda che vede coinvolta la nota influencer cremonese Chiara Ferragni nello scandalo del pandoro benefico Pink Christmas merita sicuramente una riflessione sulle implicazioni socioculturali prima ancora che legali e commerciali.
Come è noto, l’imprenditrice digitale ha ricevuto una maximulta dall’Antitrust a causa dell’iniziativa commerciale intrapresa con l’azienda dolciaria per la promozione del pandoro griffato, venduto a 9 euro anziché 3,70, il cui ricavato non sarebbe stato donato all’Ospedale Regina Margherita di Torino come precedentemente annunciato.
Va detto che l’associazione del brand Ferragni a un prodotto alimentare, che di per sé non rappresenta un business per l’imprenditrice, ha contribuito all’aumento di fatturato dell’azienda dolciaria, che avrebbe donato molti mesi prima solo una cifra simbolica e comunque irrisoria rispetto agli introiti delle vendite. In questo senso, la condotta dell’azienda che ha chiesto in prestito la reputazione dell’influencer non sembrerebbe essere moralmente migliore.
Fonte: Il Fatto Alimentare
Chiara Ferragni e suo marito Fedez hanno indubbiamente una potenza di fuoco comunicativa superiore a quella di molti leader politici e lo hanno dimostrato facendosi portavoce di bisogni sociali emergenti e polarizzando spesso il dibattito sulle lacune lasciate dalle istituzioni pubbliche. Emblematica da questo punto di vista è la replica social del marito alle accuse mosse dalla Presidente del Consiglio Meloni nei confronti dei lavoratori del web, in cui elenca tutte le iniziative di beneficenza realizzate insieme alla moglie dall’inizio dell’emergenza sanitaria. Ciò che fa riflettere in tutta questa storia è che negli anni abbiamo visto politici e figure istituzionali al centro di scandali analoghi, ma le vicende non hanno suscitato altrettanto clamore ed è proprio su questo punto che il rapper ha fatto leva per difendere la moglie.
Fonte: Vanity Fair
In diverse occasioni i Ferragnez sono stati accusati di ipocrisia dal pubblico di indignati dei social, che hanno prontamente ricordato alla coppia che la beneficenza si fa in silenzio e non per immagine. D’altro canto, un tratto distintivo della nostra società è quello di pensare che i gesti nobili vadano tenuti nascosti per essere realmente apprezzati, come se il buon esempio non avesse più alcun valore. La verità è che tutti i personaggi pubblici che si spendono per cause benefiche lo fanno con il secondo fine del ritorno d’immagine e chi lo nega atteggiandosi a paladino della morale pubblica risulta ipocrita a sua volta. Tuttavia, la strumentalizzazione della beneficenza non può essere considerata un’opera buona in virtù dei risultati prodotti, perché la gratuità del gesto non è secondaria e il fine non giustifica i mezzi.
Da qualsiasi punto di vista lo si voglia analizzare, il potere di Chiara è stato determinato dal numero dei suoi follower, dal peso delle relazioni instaurate nel mondo imprenditoriale, istituzionale e dello spettacolo, ma soprattutto dal linguaggio emotivo usato.
A tal proposito, la metafora di network society proposta da Manuel Castells si presta benissimo alla società iperconnessa, in cui politici e influencer si trovano oggi a confronto: il fatto che la retorica della politica risulti molto meno efficace sulle piattaforme social rispetto ai contenuti oggetto dello storytelling degli influencer dipende proprio dal ruolo ricoperto da questi ultimi all’interno della community.
Quindi non sarebbe tanto il luogo del dibattito a fare la differenza quanto gli obiettivi condivisi con gli interlocutori di riferimento, perché qualsiasi causa di beneficenza attenzionata dal leader di un partito o da un imprenditore digitale non troverà mai lo stesso tipo di accoglienza.
Il dato incontrovertibile è che il capitale reputazionale degli influencer supera ormai di gran lunga quello di altri stakeholders della società, in quanto fondato sui valori di fiducia, trasparenza e credibilità. Ciò non toglie che, se uno di questi tre pilastri viene a mancare, l’hub della rete diventa improvvisamente sostituibile.
È sufficiente che Chiara riconosca il suo errore pubblicamente per salvaguardare il legame di fiducia con i suoi follower? Forse per alcuni di loro si perché, quando è il lato umano dell’influencer ad emergere il legame empatico instaurato e coltivato nel tempo con i suoi fan di vecchia data potrebbe superare qualsiasi tipo di accusa. Basta leggere i commenti sui social per rendersi conto che la loro è una stima incondizionata.
Fonte: RaiNews24
Ma difficilmente i follower meno attivi la riconosceranno come la blogger di The blond salad, perché è ormai un’imprenditrice e una celebrità e in quanto tale non può permettersi passi falsi.
Sicuramente si è guadagnata il suo seguito negli anni raccontando un sogno, un sogno in cui si sono immedesimate milioni di ragazze, dalle Millennials alle più giovani della generazione Z, ma attualmente la sua rete è composta soprattutto da consumatrici quindi probabilmente la sua community si regge più sull’estensione che sulla forza dei legami.
Questi episodi ci insegnano che il capitale reputazionale è una risorsa tanto facilmente trasformabile in denaro quanto vulnerabile dal punto di vista valoriale.
Se da un lato va riconosciuto il coraggio di Chiara che sa parlare a cuore aperto e chiedere perdono, dall’altro lato l’annuncio del ricorso sulla sanzione reputata eccessiva lascia pensare che il pentimento non sia poi così veritiero.
La cosa certa è che a prescindere dall’epilogo del caso Ferragni, il settore degli influencer diventerà sempre più strutturato e maturo negli anni tanto da incidere non solo sullo stile di vita delle persone, ma anche sulle scelte di rilevanza pubblica e sociale.
Marzia Furlan