Qual è stata la strategia di Calenda a partire dalle elezioni a sindaco di Roma di cui è stato protagonista nel 2022?
Per capire la strategia che ha usato fin qui Carlo Calenda può essere utile analizzare come gestì la campagna elettorale a sindaco di Roma. Dopo un anno di campagna elettorale intensa non riuscì infatti, seppur di pochissimo, ad accedere al secondo e decisivo turno delle elezioni, benché avesse raccolto il voto di oltre 220 mila romani che lo avrebbero voluto sindaco di Roma. Subito dopo lo spoglio del primo turno affermò di non avere alcuna intenzione di allearsi con nessuno dei due partiti in campo, né con Gualtieri né con Michetti.
Questo atteggiamento ricordava molto da vicino quello dei suoi “nemici giurati” del M5S, i quali tuttavia, una volta vinte le elezioni politiche del 2018, erano invece scesi a patti con Lega prima e PD poi. L’ex viceministro aveva fatto dietrofront sul suo voto personale al ballottaggio: inizialmente aveva detto che avrebbe fatto scheda bianca ma, dopo che Gualtieri aveva dichiarato che avrebbe estromesso il M5S da un’eventuale Giunta comunale da lui guidata, aveva asserito che avrebbe votato per il candidato di centrosinistra.
La mancata collaborazione tra Gualtieri e la Raggi aveva, infatti, dimostrato ancora una volta che la presunta alleanza PD-M5S, nata dal Conte bis e confermata dai nuovi leader dei due partiti Letta e Conte, più recentemente saldatasi con l’accordo in occasione delle elezioni in Sardegna per poi apparentemente naufragare o per lo meno impantanarsi nella tetra vicenda pugliese di questi giorni, esisteva solo per contrastare lil fronte del centro-destra a livello nazionale, senza grandi idee programmatiche e agende comuni.
Fonte: la Repubblica
Tornando al voto del 2022, possiamo dire che questo ha spaccato definitivamente in 4 zone la città, mostrando l’esistenza di gruppi socioculturali ben distinti che poi si riverberano negli appuntamenti elettorali. I seguaci di Calenda avevano infatti votato per un candidato sindaco che richiamava la politica a un atteggiamento posato e responsabile senza un particolare afflato rivoluzionario, unico terreno sul quale il Pd si ritrovava e si ritrova ancora oggi con l’ex ministro dello Sviluppo economico. Per questo motivo, per l’ennesima volta, il voto del frammentato centrosinistra composto da Calenda e Pd aveva finito per essere un voto anti-destra, convergendo sul nome di Gualtieri per la scelta binaria offerta dal ballottaggio.
Calenda, nonostante si fosse detto scontento perché sconfitto, aveva con quella scelta di percorso solitario acquisito in primis un peso importante nell’elezione del sindaco e poi si era definitivamente guadagnato una posizione di rilevo nella politica italiana, ma tutto a discapito della capacità di dare vita ad uno schieramento e a delle idee comuni a un fronte più largo concretamente capace di contrapporsi al centro-destra.
Alberto Fioretti