Il 55% del costo della benzina è rappresentato dalla tassazione; è solo il continuo di una lunga tradizione
Le conseguenze del conflitto russo-ucraino iniziano a farsi sentire in tutta Europa. Mentre le forze militari guidate da Putin cingono d’assedio Kiev e le altre città strategiche, l’intero continente si appresta a subire i drammatici effetti economici della guerra.
Il primo ed istantaneo sintomo dell’imminente periodo di recessione che travolgerà i paesi europei (e non solo) è il drastico aumento del prezzo del petrolio. Tale fenomeno, che ha coinvolto trasversalmente quasi tutte le nazioni del continente, è ormai al centro del dibattito politico nazionale ed internazionale a causa dei rincari soprattutto su benzina e gasolio. Nelle ultime due settimane, infatti, si è registrato un costante e graduale aumento del loro prezzo, che ha toccato vette mai viste prima ed ha ormai sorpassato i due euro al litro.
Tutto ciò ha contribuito riportare al centro dell’attenzione pubblica il problematico ed atavico rapporto tra la politica italiana ed il prezzo del carburante. In particolare, a tornare nel calderone sono le famosissime accise, ovvero le imposte indirette fisse che colpiscono tali beni nel momento della produzione o del consumo.
A destare scalpore sono state le rilevazioni del Ministero della Transizione Ecologica. Esse stabiliscono che nella settimana che va dal 28 febbraio al 6 marzo, la spesa media in Italia per un litro di benzina è ammontata a 1,96 euro. Di tale somma, 0,87 euro rappresentano il prezzo netto, 0,35 euro finiscono in Iva ed i restanti 0,73 in accisa. Per semplificare, ciò significa che il 55% di ciò che paghiamo per un litro di benzina è rappresentato da accise ed imposte. Simile è la situazione del gasolio, dove la penalizzazione fiscale contribuisce per il 52% al prezzo finale (di cui 0,62 euro in accise e 0,33 euro in Iva). Per comprendere ancora meglio il peso specifico delle accise, basti pensare che il prezzo netto del carburante italiano è inferiore a quello della media europea, ma la tassazione che viene applicato su esso lo rende in ultima istanza tra i più costosi del continente.
Questo in parte spiega il motivo per cui fare rifornimento oggi in Italia è più costoso che all’estero, ma per capire fino in fondo il fenomeno è necessario analizzare le cause di una tassazione così alta nel nostro paese.
Le origini della situazione che viviamo ancora oggi vanno fatte risalire al ventennio fascista, quando nel 1935 Benito Mussolini decise di finanziare la guerra in Etiopia attraverso l’imposizione di una salatissima accisa che raggiungeva la soglia di una lira e novanta centesimi e che raddoppiava il costo della benzina. Ad onor del vero però, le automobili in circolazione erano pochissime (perché pochi erano in grado di possedere questo lusso) e l’imposta fu rimossa ad un solo anno di distanza.
Per tutto il corso del ‘900 la politica italiano ha continuato a far ricorso a tale mezzo per far fronte ad emergenze di carattere militare ed ambientale. Tra i casi più famosi rientrano indubbiamente la crisi internazionale del canale di Suez del 1956, la guerra in Bosnia, il drammatico disastro del Vajont ed i terremoti dell’Irpinia, del Belice del Friuli.
Alla fine del secolo scorso, e precisamente nel 1995, la natura dell’accisa è stata regolamentata dalla disciplina contenuta nel Testo unico definito dal decreto legislativo del 1995. Da questa data l’accisa sul carburante viene definita in maniera unitaria e il gettito che ne deriva finanzia (almeno a livello formale) il bilancio statale nella sua interezza e non più in singole situazioni. Il valore di questa imposta è stato modificato dai governi che si sono succeduti. Nel 1995 esso ammontava a 0,518 euro e nel 2000 è sceso a 0,520 euro. Dall’inizio del nuovo secolo il valore è aumentato costantemente, fino a toccare il suo massimo storico nel 2014 (0,73 euro). Ad oggi esso si registra su un livello di circa (0,72euro).
La crisi russo-ucraino ha dunque fatto riemergere l’importanza di questo fenomeno, di cui la politica spesso si riempie la bocca senza contestualmente muovere un dito. Per ultimo, il leader della lega Matteo Salvini ha annunciato il 9 marzo scorso una mozione in Senato per sospendere le accise finché non si ritornerà ai prezzi del 2019.
L’ennesima proposta destinata a cadere nel vuoto. Al momento, comunque, si parla di un taglio delle accise che dovrebbe portare ad avere un calo dei prezzi tra i 20/30 centesimi; questa, che può apparire una battuta degna di un palco di cabaret, purtroppo è la triste verità. Rassegniamoci, dunque, a vedere sui pannelli elettronici dei distributori il simbolo € e l’importo 2,00.
Giulio Picchia