La proposta di regolamentazione degli affitti brevi sembra scontentare tutti

A distanza di pochi mesi dalle manifestazioni degli studenti di tutta l’Italia, che si erano accampati nelle tende di fronte alle più importanti università del Paese in segno di protesta contro il caro affitti, qualcosa sembra iniziare a cambiare.

A dire il vero, il cambiamento sembra provenire da oltreoceano, con l’Italia pronta a cavalcare l’onda per attuare una delle riforme più invocate negli ultimi anni. Il primo tentativo di risolvere l’emergenza abitativa, che evidentemente non colpisce solo il nostro Paese, è stato realizzato ad inizio settembre a New York, dove è stata introdotta una regolamentazione più stringente per ridurre i cosiddetti affitti brevi.

Ad uscirne maggiormente danneggiato è il settore degli affitti brevi, gestito da piattaforme quali Booking.com e Airbnb, dove sono sempre di più gli immobili messi a disposizione per brevi periodi a scopi turistici. Sulla falsa riga dell’intervento americano sembra muoversi il governo italiano, che in questi giorni è alle prese con la stesura della riforma di tale materia.

Con essa si metterebbe fine alla possibilità di affittare gli immobili per una sola notte e si introdurrebbe l’obbligo di aprire la partita IVA per tutti coloro che destinano più di due appartamenti alle locazioni brevi. Oltre a queste due importanti novità, il disegno di legge prevede una lunga serie di nuove norme da rispettare per chi investe nel settore.

Fonte: Benessere Economico

Ad ogni appartamento sarà collegato, ad esempio, un codice identificativo nazionale (detto CIN), la cui mancata esposizione comporta una sanzione pecuniaria da 500 a 5000 euro. Inoltre, gli immobili dovranno seguire la stessa normativa antincendi prevista per gli alberghi, che implicherebbe l’obbligo per gli affittuari di munire gli appartamenti di strumenti di rilevazione del monossido di carbonio e di idranti. Il mancato adeguamento a tali norme sarà punito con multe molto salate.

Nella bozza presentata nel maggio scorso, l’obiettivo sembrava in linea con le richieste di molti sindaci italiani, che denunciavano come l’assenza di regolamentazione avesse determinato il proliferare di appartamenti adibiti ad affitti di breve durata con un conseguente spopolamento dei centri urbani.

Nella prima bozza del decreto si leggeva infatti che il disegno di legge era destinato a contrastare “il rischio di un turismo sovradimensionato” e “a salvaguardare la residenzialità dei centri storici ed impedirne lo spopolamento”. Nella nuova bozza di settembre, però, sembrano essere spariti questi obiettivi. La regolamentazione non avrebbe più lo scopo di ridurre il cosiddetto “overtourism” per tutelare i residenti, ma solo quello di “contrastare l’abusivismo nel settore” e di far emergere il nero.

A dirsi soddisfatta è Daniela Santanchè, Ministra del Turismo, che ha sottolineato come si aspettasse da molti anni un intervento specifico sugli affitti brevi e che “nessuno, prima di noi, abbia mai voluto affrontare una questione riguardante un tema così complesso e spinoso”. Non sono del suo stesso avviso i rappresentanti delle parti toccate dalla riforma.

Quest’ultima, infatti, non ha ottenuto la piena approvazione da parte di Federalberghi e dell’Aigab, l’associazione italiana gestori di affitti brevi. La prima, pur riconoscendo i passi avanti, continua a sostenere la necessità di portare il minimum stay a tre notti (e non a due, come previsto dalla nuova normativa) e si augura che in futuro l’affitto breve venga considerato una vera e propria attività imprenditoriale con tutti gli oneri che ne conseguono.

Di idee opposte è, ovviamente, l’Aigab che ritiene che le norme previste dalla riforma rappresentino un ostacolo per il settore e rendano meno conveniente rivolgersi ad esso.

Insomma, se la politica è l’arte del compromesso, questa ne è la prova. Ma il compromesso non sempre è la soluzione più efficiente, e talvolta rischia di non accontentare nessuna delle parti. Il risultato, in questo caso, è un timido tentativo di regolamentazione che probabilmente non risolverà l’emergenza abitativa.

Giulio Picchia

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