Breve analisi storica del dibattito sul divieto di un secondo mandato per il Capo dello Stato
Alla fine del 2021 era stata presentata in Senato una proposta di legge costituzionale da parte del Presidente della Commissione Affari Costituzionali Dario Parrini e da altri due senatori Dem, Luigi Zanda e Gianclaudio Bressa. La proposta intendeva normare il mandato del Presidente della Repubblica, inserendo un esplicito divieto per quanto riguarda la rielezione del Capo dello Stato e la conseguente cancellazione del semestre bianco. Il deposito della proposta di legge costituzionale arrivava in un momento alquanto delicato, date le difficoltà per il mondo politico nell’individuare il successore di Sergio Mattarella, e la volontà del Capo dello Stato di lasciare il proprio incarico al termine del mandato nel prossimo gennaio.
Proprio dal Quirinale era inizialmente filtrata un po’ di irritazione per la proposta, nonostante Mattarella avesse più volte confermato la sua contrarietà ad una ricandidatura.
Da molto tempo, infatti, si dibatte circa gli articoli 85 e 88 della Costituzione che normano, rispettivamente, l’elezione e il semestre bianco. Infatti, la prima parte della proposta intende aggiungere all’articolo 85 la postilla riguardo la non rieleggibilità del Capo dello Stato al termine dei sette anni di mandato previsti.
Fonte: ANSA
Sul tema storicamente si è adottato il principio della non rieleggibilità, nonostante non vi fosse un divieto imperativo in tal senso. A questo si aggiunge l’orientamento di alcuni Presidenti della Repubblica, su tutti Segni e Leone, che hanno espresso delle opinioni favorevoli riguardo l’inserimento di un limite in Costituzione.
A tal proposito occorre ricordare come già negli anni ’60, poco dopo il messaggio di Segni in tal senso, vi fu un’iniziativa del liberale Aldo Bozzi volta a modificare l’articolo 85 della carta fondamentale.
È altresì vero che non tutti i Presidenti della Repubblica si sono espressi in tale direzione, si pensi ad esempio a Einaudi, Gronchi e Pertini. Il primo, Presidente dal 1948 al 1955, fortemente legato elettoralmente a De Gasperi, che ne appoggiò l’elezione al Colle, dovette rinunciare alla rielezione proprio per l’uscita di scena e la successiva morte dello statista trentino, nonostante la volontà di continuare. Ma le mutate condizioni politiche impedirono a Einaudi di essere rieletto.
Anche il successore Gronchi, eletto a sorpresa, visto l’orientamento iniziale della DC su Cesare Merzagora, fu un Presidente anomalo anche nella conduzione politica, non garantendosi l’appoggio per una possibilità rielezione da parte dei partiti messi in ombra dal suo protagonismo. Infine, Sandro Pertini, sicuramente il più iconico tra i Capi dello Stato che, forte del gradimento popolare, sperava in una rielezione nel 1985, scontrandosi sia con la carta d’identità (89 anni) che con la volontà dei partiti di tornare verso la figura del Presidente-notaio.
È, infatti, curioso notare come le possibilità/volontà di rielezione dipendano in gran parte dal modo in cui è stato affrontato il settennato. In casi come quelli di Leone, Saragat e, in parte, dello stesso Mattarella dove l’interventismo è stato moderato, la volontà presidenziale è indirizzata verso la non rielezione. Al contrario, i più interventisti, Gronchi, Pertini e, anche se non inizialmente previsto, Napolitano hanno dimostrato apertura verso un secondo mandato.
La proposta in esame nasce proprio dal precedente del 2013, con la rielezione di Giorgio Napolitano per un secondo mandato, nonostante la volontà iniziale di non proseguire. Il voler rendere il caso della rielezione di Napolitano una parentesi ha, senza dubbio, un suo significato, dato che il mandato di sette anni è sicuramente lungo e impegnativo e permettere ad uno stesso soggetto di ricoprire per 14 anni il ruolo di Capo dello Stato può sembrare eccessivo.
Tuttavia, come evidenziato, può nascondere anche la volontà della politica di riappropriarsi della prerogativa di scegliere il Presidente della Repubblica, frenando già dapprincipio eventuali volontà presidenziali per un secondo mandato.
Fonte: Internazionale
Infine, in teoria l’introduzione del limite al mandato presidenziale non avrebbe ricadute evidenti, visti i precedenti storici analizzati, ma rafforzerebbe ulteriormente il ruolo dei grandi elettori rispetto al Presidente che, a questo punto ufficialmente, avrebbe un mandato a tempo, e riproponendo con sempre maggiore frequenza la figura del Capo dello Stato come garante delle istituzioni, ma con limitati poteri d’intervento.
Alberto Fioretti