Le parole della stilista bolognese fanno il giro del web e riaccendono il tema dell’assenza delle donne dalle posizioni apicali
Se chiudessimo gli occhi e ascoltassimo le ormai tristemente note parole di Elisabetta Franchi, penseremmo di esser tornati indietro di qualche secolo. Ma purtroppo non è così, e sorprende (o almeno, dovrebbe sorprendere) che nel 2022 ci troviamo obbligati a commentare l’ennesima narrazione lavorativa discriminatoria nei confronti delle donne, proveniente da una donna stessa.
A fare il giro del web sono questa volta le affermazioni della sopracitata stilista bolognese, pronunciate nel corso dell’evento milanese “Donne e Moda: il barometro 2022”. La spiegazione della sua visione aziendale e familiare ha infatti riscosso giustamente numerose critiche, e le parti incriminate del suo discorso sono fin troppe. A destare particolare sgomento sono soprattutto quelle in cui parla del ruolo delle donne nella sua impresa, condite da un mix di cultura patriarcale e discriminatoria di cui la Franchi sembra anche vantarsi. Per sua stessa ammissione, le donne che lavorano con lei sono poche. E fino a qui niente di assurdo, se non fosse per la motivazione: “quando metti una donna in una carica importante, non ti puoi permettere di non vederla arrivare per due anni”.
Ma il problematico, a suo dire, rapporto tra donne e posizioni apicali delle sue aziende è la parte di gran lunga meno grave del suo ragionamento. Come se non bastasse, rincara la dose affermando che “le donne le ho messe ma sono anta […] se dovevano sposarsi si sono già sposate, se dovevano far figli li hanno già fatti, se dovevano separarsi hanno fatto anche quello […] quindi sono lì belle tranquille con me al mio fianco e lavorano 24h”.
I punti critici di questo estratto sono sostanzialmente due. Il primo è rappresentato dalla narrazione del rapporto donna-lavoro e più in generale dalla sua visione della donna nella società.
Quella delineata dalla Franchi, più che la raffigurazione di una donna che ha conquistato a fatica l’emancipazione e i suoi diritti, sembra essere la raffigurazione della perfetta donna ottocentesca.
Ignorando del tutto nuove forme di lavoro che sono emerse recentemente a causa dell’arrivo della pandemia, per la stilista bolognese sembra inconcepibile conciliare (ovviamente in maniera parziale) i mesi di gravidanza con le questioni lavorative.
Invece di redarguire una classe dirigente inadeguata ad affrontare le sfide che il mondo lavorativo moderno gli pone davanti, la Franchi preferisce addossare le colpe di eventuali buchi in posizioni strategiche alla maternità delle donne.
Esse, infatti, sarebbero ree di far nascere il bambino e tutto ciò comporterebbe per loro “un dovere che è nel DNA”, ovvero quello di accudire i figli, che invece non spetterebbe agli uomini.
Il secondo tema incriminato, passato in secondo piano ma altrettanto grave, è la retorica del lavoro come unica ragione di vita. Più che come mezzo di realizzazione personale, dalle parole della Franchi sembra che la parola “lavorare” sia un mantra da seguire pedissequamente e a tempo pieno, difronte al quale qualsiasi tipo di sacrificio è doveroso. Il ragionamento è questa volta trasversale al genere della persona, a cui non è concesso alcun tipo di distrazione. Se questo riguarda le donne, è inutile dire che per l’imprenditrice la gravidanza rappresenta un ulteriore ostacolo a quest’etica del lavoro. E se non fosse abbastanza chiaro, la Franchi assurge a modello lei stessa, meritevole di portare avanti l’azienda anche con i punti del cesareo che gli dolevano. Per riassumere il tutto, l’individuo casa-lavoro sembra esser risuscitato grazie alle affermazioni della stilista bolognese.
La nota imprenditrice ha poi cercato di mettere una toppa attraverso il suo profilo Instagram, nel quale ella sostiene che l’80% della sua azienda “sono quote rosa di cui il 75% giovani donne impiegate e 5% manager ed in cui spiega che il tema dell’evento era l’assenza di figure femminili nelle cariche importanti.
L’unico “merito” della Franchi è quello di aver riportato questo dibattito al centro dell’opinione pubblica, ma le soluzioni da lei prospettate sono completamente incomprensibili.
La vera questione di cui dovrebbe occuparsi la classe politica italiana è l’impossibilità da parte delle donne (ma non solo) di coniugare al meglio la vita lavorativa con quella familiare, affinché si eviti la prevaricazione della prima sulla seconda come prospettato dalla Franchi e si faciliti la possibilità per le donne di raggiungere posizioni apicali.
Sotto questo aspetto lo Stato italiano sembra ancora molto assente, e negli ultimi anni si è limitato a proporre l’applicazione forzata di quote rose che aggirano il problema senza però contribuire a risolverlo.
Giulio Picchia