La lezione americana è tutta qui: demonizzare gli avversari non solo non farà apparire buoni, ma non fa neanche vincere le elezioni

Donald Trump è il 47esimo Presidente degli USA. In un sistema fortemente bipolare, dove non mancano candidature indipendenti, di cui però purtroppo nessuno parla, Trump ha dominato la competizione elettorale contro una candidata troppo scarsa per definirsi alternativa.

Mentre in America il mondo dem si interroga ed affronta un’articolata e difficile autocritica, gli osservatori nostrani continuano ad alimentare un dibattito che di fatto è il motivo stesso della sconfitta politica, che il mondo generalizzato del centro sinistra sta conoscendo in diverse democrazie occidentali.

Sempre dall’America arrivano indicazioni che nel tempo si riflettono sui modelli europei. Tra tutti l’astensione, fenomeno da tempo consolidato negli USA e che oggi insiste anche in Europa. Le cause vanno ricercate nella digitalizzazione dei processi partecipativi, che non si traducono in coinvolgimento e presenza alle urne. Sempre più follower, sempre meno elettori.

Candidati inadeguati, come Kamala Harris, che nonostante il fiume di denaro ricevuto dai suoi finanziatori, viene definita mediocre se non pessima da tanti dem che oggi non sono riusciti neanche a turarsi il naso, non fanno altro che aumentare una percezione di distacco tra i cittadini e rappresentanti.

Fonte: Adnkronos

Perché ha vinto Trump, dunque? Semplice, perché peggio di lui c’era solo la Harris. I dem in America hanno prima demonizzato il candidato Trump, sicuri che le questioni giudiziarie, lo stile bifolco, le uscite strampalate, potessero bastare. No, anzi, sono state il trampolino di lancio, perché dall’altro lato, nel tempo, si è prima criticata, poi approvata l’agenda politica dell’avversario. Biden, infatti, ha fatto retromarcia sulle politiche contro i flussi di migranti clandestini, seguendo la linea di Trump e del muro al confine con il Messico. Lo ha fatto anche sui dazi nei confronti della Cina, dopo averli attaccati, Biden li ha aumentati. Lo ha fatto anche con le misure economiche intraprese dal governo Trump, mantenendole invariate, anzi rafforzandole, sostenendo così l’economia americana in una fase di lenta ma continua crescita degli indici che giova tanto a Wall Street e meno alla popolazione, che vive con redditi sempre più bassi, e la working class poor aumenta al diminuire della disoccupazione. Insomma, tra la copia e l’originale gli americani si sono presi l’originale.

Fonte: Adnkronos

La rappresentatività limitata, infine, è uno degli aspetti più preoccupanti. La trazione maggioritaria, bipolare, esclude minoranze, sensibilità, esperienze di mondi che ormai restano ai margini del dibattito pubblico e non trovano spazio nelle dinamiche di un voto sempre più ristretto e controllato.

Ed infine, la percezione di progresso, socialmente devastante, economicamente poco performante, ecologicamente ipocrita. Se il progresso si poggia sull’attuale modello neoliberista non è progresso ma speculazione, che crea ulteriore divario tra chi può reggere il passo delle trasformazioni e chi, da abbandonato, si abbandona alla conservazione di ciò che ha, o di ciò che aveva.

Ridefinire modelli politici su cui basare uno sviluppo sociale ancor prima che tecnologico e digitale, per avviare una transizione culturale in favore di ecologia, ambiente, diritti civili e sociali, è l’unico modo per avanzare alternative a modelli ritenuti sbagliati ma nella sostanza gli unici ad essere ben rappresentati.

La lezione americana è tutta qui: demonizzare gli avversari non solo non farà apparire buoni, ma non fa neanche vincere le elezioni.

Alberto Siculella

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