L’aumento delle materie prime ha depresso i rispettivi mercati produttivi e non ha arricchito né i trasformatori né i commercianti
Va di moda una nuova categoria economica, inventata dalla sinistra italiana, denominata a dir loro “Extraprofitto”. Secondo gli inventori, sembra di capire, si tratta di maggiori utili dovuti, nella maggior parte dei casi, da consistenti rialzi del mercato delle materie prime. L’idea, a mio parere diseconomica e sufficientemente giacobina, sarebbe quella di colpire in modo del tutto consistente il maggior ricavo che non viene dal normale processo produttivo e/o commerciale, ma che deriva essenzialmente dalla crescita dei mercati delle così dette “commodities”, cioè delle materie prime. Questa idea, riferita in primis alle vicende dei prodotti energetici come gas, petrolio, etc. è evidentemente miope.
L’aumento delle materie prime come caffè, cacao ed altre ha depresso i rispettivi mercati produttivi e certamente non ha arricchito né i trasformatori né i commercianti di queste merceologie. Se queste categorie, che stentano dopo i fortissimi rialzi speculativi, a tenere in vita le loro aziende, venissero anche afflitti da imposte speciali, non avrebbero altra soluzione che arrendersi.
Basterebbe comprendere che, soprattutto per una nazione trasformatrice come la nostra, il valore delle materie prime è iscritto a bilancio fra i costi. Peraltro, non sempre l’impresa riesce a ribaltare i frenetici rialzi delle commodities sui prezzi di vendita. Nella sostanza è un processo che, pur gonfiando il valore dei ricavi, non porta maggior utile. Peraltro, tali rialzi rendono, nell’immediato, insufficienti i finanziamenti che il sistema bancario ha loro concesso. Ma, volendo stare in modo stringente al tema, possiamo fare un esempio con il petrolio. Se l’ENI, o chi volete, compra 100 barili di petrolio a 100 euro e poi il barile arriva a 300 euro, la società sembra aver guadagnato (100 x 200) € 20.000. In realtà, quando la stessa avrà incassato il prezzo ed il sovrapprezzo (euro 300 al barile) se ci riesce, sarà proprietaria sempre di 100 barili di petrolio.
Dov’è l’extraprofitto? Ma se la sua esposizione finanziaria, concessale dalle banche, (e non sarà certo questo il caso dell’ENI) non verrà aumentata (e normalmente nei momenti di turbolenza dei mercati non viene aumentata), la sua capacità di acquisto della materia prima si ridurrà immediatamente ad un solo terzo della precedente. Ed ancora il suo ciclo produttivo perderà ogni capacità espansiva, anzi si ridurrà poiché, per restare all’esempio, le famiglie risparmieranno Km e quindi benzina, risparmieranno sul gasolio da riscaldamento.

Figura 1: MERCATO DEL PETROLIO IPOTIZZATO NELL’ARTICOLO
Dove sono questi extraprofitti? Se un’azienda ha a magazzino 100 barili di petrolio e, dopo i rialzi, ha 100 barili di petrolio, qualunque sia il valore del greggio non si è arricchita. Il sistema fiscale italiano permette da sempre di sterilizzare le presunte plusvalenze da aumento delle materie prime con due sistemi denominati “LIFO” e “FIFO” ed altrettanto succede in altri avanzati sistemi fiscali. Ma poi, in conclusione, anche accettando la farraginosa idea del voler tartassare il presunto extraprofitto, volendo stabilire che se ho in magazzino 100 barili che invece di valere 100 euro l’uno valgono 300 Euro l’uno qualcuno vuole tartassare i 200 Euro di presunto plusvalore, cosa dovremmo fare il giorno che, finita la speculazione, il prezzo dovesse tornare a 100 Euro?
Certamente sarà giusto ed equo correre in soccorso delle aziende a quel punto vittime del mercato. Credo sia folle da parte dello Stato tassare i così detti extraprofitti come correre ai ripari in favore delle aziende in caso di cali repentini dei prezzi.
Che il mercato faccia il mercato, le aziende gestiscano la loro liquidità e lo Stato resti neurale tassando ciò che è giusto senza punire nessuno.
Ferruccio Zappacosta