Da Hong Kong a Taiwan, le nuove e vecchie sfide della Cina di Xi
Da poche ore si è aperto il ventesimo congresso del partito comunista cinese, che si appresta ad essere uno dei più importanti degli ultimi decenni. Non tanto per il volto che verrà dato alla nazione, che a meno di grandi sorprese sarà sempre quello di Xi Jinping. E nemmeno per la sfarzosità dell’evento, che è stato accuratamente pianificato da tempo ed a cui ormai la popolazione è abituata.
L’importanza del congresso è rappresentata dalle nuove sfide che la Cina si accinge ad incontrare, che sono state riassunte al meglio dal discorso di apertura tenuto proprio dall’attuale e prossimo presidente della Repubblica Popolare.
Con lui, a partire dal 2013, la Cina ha intrapreso una strada (se possibile) ancor più autoritaria e nazionalista, quella stessa strada che lo ha portato a modificare la costituzione e prevedere la possibilità per il presidente di svolgere un terzo mandato. L’accentramento dei poteri intorno alla propria persona e la mancata designazione di un successore è solamente il contorno che permetterà allo stesso Xi Jinping di essere l’artefice della propria rielezione.
Forte di essa, che sarà decretata ufficialmente solo il 23 ottobre, il presidente ha dato inizio al congresso del partito comunista con un discorso intriso di retorica che ha toccato i temi tradizionali ed identitari della Cina, e che ne ha volutamente evitati altri non adatti all’occasione. Nelle parole del presidente non si è mai fatto accenno alla grave situazione internazionale e non si è fatto riferimento all’alleato dichiarato Vladimir Putin, così come è rimasto estraneo il tema del rallentamento dell’economia cinese.
Xi Jinping ha, invece, voluto rivendicare la tanto criticata e possiamo dire assurda strategia “covid-zero”, che ha letteralmente tenuto in ostaggio la popolazione per due lunghi anni senza motivo. La mole di tamponi a cui continua ancora oggi ad esser sottoposta la popolazione appare agli occhi di quasi tutti ingiustificata, ma non per il presidente, secondo il quale ciò ha permesso di salvaguardare la vita e la salute delle persone.
Altrettanto controversa è la gestione del governo cinese della città di Hong Kong, dove negli ultimi anni si sono verificate continue proteste per la stretta autoritaria e liberticida attuata dalla presidenza di Xi.
Il presidente non si è risparmiato nel trattare l’argomento con parole forti e chiare, ribadendo la priorità di garantire l’ordine sociale e reprimere qualsiasi tentativo di destabilizzazione della città.
Dalla politica interna a quella estera, i toni rimangono simili. E l’argomento impossibile da evitare è stavolta la contesa con gli Stati Uniti per l’isola di Taiwan, verso la quale l’obiettivo cinese è quello di una “riunificazione pacifica”. Ma il leader sembra subito correggersi, quando spiega che non esclude il ricorso all’uso della forza militare.
Le divergenze con l’occidente riguardano però anche i temi economici ed ambientali, con cui si conclude il discorso di Xi. Dalla sua bocca sono uscite parole di riconciliazione con i paesi occidentali sul tema della transizione energetica, che verrà promossa attivamente dalla Cina. Le parole sono però ancora in contraddizione con la realtà, che vede la Cina essere il paese più inquinante al mondo e restii alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica.
Il continuo riferimento alla potenza rivale statunitense è probabilmente il filo conduttore di tutto il lungo discorso, anche e soprattutto in merito ai temi economici. Sembra fuori discussione che i prossimi decenni saranno dominati dalla sempre più accesa rivalità tra Cina e Stati Uniti, e che la “trappola di Tucidide” evocata da Graham Allison si concretizzerà.
Accanto all’ormai consolidata potenza statunitense emergerà ancor di più quella cinese, che per molti è già in fase di sorpasso.
Giulio Picchia