Il film, adattamento cinematografico del saggio “Gli assassini della terra rossa”, scritto da David Grann, ha visto in Scorzese un entusiasta sostenitore dei diritti di questo popolo
Si può dire che il genere western, filone che narra dell’epopea americana nelle terre dell’Ovest, sia nato quasi in contemporanea con la stessa invenzione del cinema. È più di un secolo quindi che gli indiani, o più appropriatamente i pellerossa, nativi del continente e preda indifesa delle conquiste da parte dei coloni bianchi, i Cowboys o mandriani, i cacciatori di bufali, i pistoleri, i saloon e tante altre situazioni, investono la nostra fantasia in quello che nel tempo è diventato un vero e proprio filone e che ancora oggi è assiduamente presente nella cinematografia mondiale.
Non ci meraviglia quindi che anche un grande regista come Martin Scorsese abbia voluto omaggiare questo genere. Esce dunque in sala e poi sulle piattaforme “Killers of the flower moon”, film che approccia il Far West in modo molto lontano dalla visione romantica vista nella maggior parte delle pellicole uscite fino ad oggi. Il critico Vincent Malausa su “Cahiers du cinéma” scrive infatti che il film, “ritornando su un episodio criminale avvenuto in un periodo storico che si potrebbe chiamare post-conquista del West, non appartiene tanto al genere Western classico quanto al film-inchiesta”.
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Ma veniamo alla storia. Siamo intorno agli anni Venti del secolo scorso in Oklahoma e precisamente nel territorio abitato dal popolo degli Osage. Sotto la loro terra i nativi scoprono che scorre un’enorme quantità di petrolio il che li rende improvvisamente uno dei popoli più ricchi del mondo. È chiaro che una situazione del genere non può che ingolosire una serie di avventurieri desiderosi di approfittare di tanta ricchezza. William Hale interpretato da uno straordinario Robert De Niro, è uno di questi. L’uomo, avvalendosi del fatto che conosce la lingua degli Osage, si comporta nei loro confronti come un benefattore, elargendo doni e costruendo strutture per migliorare la loro condizione.
Gli Osage ingenuamente lo rispettano, arrivano a chiamarlo addirittura re, e in qualche modo seguono il suo modo di condizionarli come un gesto di generosità. È chiaro che dietro tutto questo esiste invece un piano ben preciso. Hale, infatti, ha in mente di far sposare il proprio nipote, l’avido e imbelle Ernest Burkhart, un Leonardo Di Caprio perfetto in questo ruolo, disegnato fra vittima e carnefice, appena tornato dalla Prima guerra mondiale, con la dolce Mollie Kyle, una nativa la cui famiglia è proprietaria di molti diritti petroliferi. La manovra riesce ed Ernest vola a nozze con la ragazza. Da questo momento inizia ad attivarsi il piano dello zio.
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Una dopo l’altra vengono uccisi, prima la madre e poi le due sorelle di Mollie e infine il suo ex marito. In questo modo la ragazza diventa la sola detentrice dei diritti petroliferi. A questo punto non resterà che liberarsi anche di lei ed Ernest diventerà automaticamente proprietario del petrolio della moglie. Mollie è malata di diabete e così il marito, aiutato dallo zio e da due medici compiacenti, le somministra, insieme all’insulina, un potente veleno che piano piano la debilita fino a condurla alla soglia della morte.
Un piano a dir poco diabolico, considerando che Ernest nel frattempo ha avuto tre figli dalla donna. Mollie però ha un moto d’orgoglio e, pur debolissima, decide di andare a Washington per denunciare quanto sta accadendo. Sarà questa la mossa giusta? Beh, non spoileriamo troppo e vedremo come andrà a finire. E un po’ di tempo ci vorrà, visto che la pellicola sfiora le tre ore e mezzo, ma non allarmatevi, assolutamente godibili e scorrevoli.
Di De Niro e Di Caprio si è già detto, una parola va spesa ora anche su Lily Gladstone che nel ruolo di Mollie si muove come l’incarnazione perfetta della nativa americana, fragile e forte allo stesso tempo, ingenua, ma anche capace di rimettere ordine nella vita che stanno cercando di distruggerle. Fra l’altro unica del cast a non aver passato nemmeno un provino, in quanto ritenuta da Scorzese l’interprete inequivocabilmente giusta per quel ruolo.
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Il film, adattamento cinematografico del saggio “Gli assassini della terra rossa”, scritto da David Grann, e a sua volta tratto da fatti realmente accaduti, ha visto in Scorzese un entusiasta sostenitore dei diritti di questo popolo.
A tal proposito il regista italo americano ha dichiarato testualmente: “Per la Nazione Osage, una tribù nativa americana, la luna dei fiori porta salute e ringiovanimento. Man mano che la luna sorge a maggio, i fiori iniziano a sbocciare, e la medicina che contengono può essere estratta. Questi fiori, che avrebbero dovuto portare salute e vita, hanno segnato l’inizio del “Regno del Terrore”.
Perché si tratta proprio di una storia quasi horror, non certo nelle sequenze sia chiaro, ma piuttosto nella naturalezza con la quale vengono compiuti delitti efferati che lasciano lo spettatore a bocca aperta a domandarsi se davvero sia stata possibile tanta scelleratezza. La vita e la morte sembrano qui appartenere a una dimensione quasi onirica, laddove non è di un sogno che si parla ma di un incubo.
Ancora una volta, dunque, un’opera eccezionale di Scorzese che, alla soglia degli ottantadue anni, decide di regalarci questo triste spaccato di storia americana senza girare troppo intorno ai fatti, ma entrando dritto nell’anima dello spettatore. Del resto, non è la prima volta che il cinema di questo grande regista ci colpisce nel più profondo dei nostri pensieri.
Lello Mingione