Il film è un’opera di altissimo livello che fa riflettere e emoziona
Per molto tempo mi sono chiesto che cosa sia il Cinema. Ero giovanissimo quando mio padre mi portò a vedere Ben Hur. Si trattava di un Kolossal americano di grande successo e per me bambino, quello rappresentò l’inizio di una grande passione. All’uscita papà mi disse ecco, vedi, questo è cinematografo. Voleva intendere che quel film rappresentava in modo perfetto che cosa doveva essere un grande film. Sogno, fantasia, immagini vertiginose, grandi masse di comparse, animali feroci, musiche epiche, amore; insomma, uno spettacolo che coinvolge e fa sognare.
Oggi, dopo oltre mezzo secolo, la penso esattamente come allora. Questa è la prima riflessione che mi è apparsa nella mente mentre sullo schermo scorrevano i titoli di coda del film Joker di Todd Phillips, che aveva già diretto il primo Joker. Certo, non si tratta di un kolossal alla Via col vento, però il film è un’opera di altissimo livello, un’opera che fa riflettere e emoziona. A dire la verità ero andato un po’ scettico, non amo i sequel e, poiché il primo Joker mi aveva molto coinvolto, avevo la legittima paura di rimanere deluso. E invece eccomi qui a raccontare, sommariamente certo, (non si può svelare nulla di una pellicola che, pur senza essere un giallo, contiene in sé un finale che lascia letteralmente senza fiato), la storia del povero Artur Fleck, in arte Joker, maschera e uomo, buttato in mezzo a una società abituata ormai a confondere il bene con il male e viceversa.
Fonte: Sortir à Paris
Ma veniamo alla trama, abbiamo lasciato il nostro eroe, appena arrestato per aver compiuto cinque omicidi, che varca le soglie del carcere, (in realtà si tratta di una struttura protetta che accoglie persone che si sono macchiate di delitti imputabili all’infermità mentale). Artur è disorientato. Se la giuria riconoscesse il suo problema mentale potrebbe evitare la sedia elettrica, tuttavia egli sembra disinteressarsi del problema. La vita che conduce si trascina priva di stimoli e la confusione dei ruoli che lo ha reso famoso, lo pone ai margini della pur mediocre socialità della prigione, dove spesso resta vittima dei suoi carcerieri e degli altri internati. Un giorno però qualcosa cambia, invitato a una terapia di gruppo presso un coro dove la musica viene usata come rimedio al disagio interiore, conosce una ragazza. Lee Quinzel e se ne innamora ricambiato. Accade così che piano piano Artur ritrova interesse per la vita, contemporaneamente però il ruolo di Joker prende di nuovo il sopravvento sulla sua personalità.
Da questo momento la storia si avvia verso un percorso che si lega fortemente al primo film e che metterà in luce tutte le contraddizioni della società in cui viviamo. Tuttavia, il vero problema per Artur Fleck è un altro: Lee è innamorata di Artur o di Joker? Andando avanti vedremo che la faccenda non riguarda solo loro due e che la questione che pone la pellicola resta proprio il simbolismo dei ruoli. Bene, questa è per grandi linee la premessa del film, film che già dalle prime immagini prende quota e coinvolge senza un attimo di respiro. Tutto ciò poteva essere raccontato attraverso la cupezza di una trama buia e drammatica, sullo sfondo di una città, Gotham City, che nulla concede alla luce e alla speranza. E qui ecco che arriva il colpo di genio di Todd che, oltre ad essere il regista è anche sceneggiatore del film.
La pellicola, senza alcun preavviso, comincia a proporci dei duetti musicali tra Artur e Lee, duetti che non solo alleggeriscono la storia, ma le danno forza, la rendono paradossalmente più credibile, scivolando verso ciò che la vita vera ci propone e cioè drammaticità e leggerezza, dolore e amore, tragicità e ironia. Una menzione speciale va come al solito a Joaquin Phoenix, la cui interpretazione si potrebbe dire superi la perfezione, Phoenix è Artur e Joker, così come è attore e personaggio e uomo allo stesso tempo. Straordinaria anche Lady Gaga, (ovviamente nelle performance musicali), ma forse ancora di più nell’interpretare il ruolo non facile di Lee, una ragazza vissuta e viziata e innamorata che racchiude in sé le intemperanze di una generazione insoddisfatta e destinata a perdersi. Lawrence Sher è l’ottimo direttore della fotografia, perfettamente in linea con la scenografia di Mark Friedberg e i costumi di Arianne Phillips.
Lello Mingione