Sol dell’avvenire, dolce e affettuoso come una favola antica, ma anche forte e tenace come un sogno al quale non si vuole rinunciare

Un regista in crisi, una moglie produttrice, un film in lavorazione e un passato che si sovrappone alla vita attuale. È “Il sol dell’avvenire, ultima pellicola di Nanni Moretti. Il regista è Giovanni, lo diciamo per dovere di cronaca, perché nel film questo è il suo nome, ma è evidente fin da subito che il personaggio in questione è proprio lo stesso Moretti.
Un uomo in contraddizione con sé stesso e con il resto del mondo, ma in fondo anarchicamente coerente. Qualcuno potrebbe obiettare che l’espressione sia a dir poco bizzarra, ma a guardar bene, l’anarchia armoniosa di Moretti, già dal primo “io sono un autarchico” non è mai venuta meno. 
È un light motif che attraversa la sua vita fin da quando, giovane pallanuotista della Lazio Nuoto, giocava, ma in realtà faceva sul serio, con una macchinetta super otto, esprimendo disagi e stupori tipici dell’età che attraversava. Ecco in questo trovo che il buon Nanni non abbia mai perso la coerenza che gli attribuisco. Ma veniamo alla storia.
Niente di rivoluzionario o particolarmente originale, come dicevo; un regista in crisi con sé stesso e con la sua famiglia che si scontra con il tempo che vive, le nuove costruzioni di serie televisive, la moglie che produce un film coreano, la figlia che si fidanza con un uomo molto più anziano di lei, e poi il film nel film che rievoca nella trama un passato forse un po’ troppo nostalgico, ma alla fin fine assolutamente realistico. Vediamo così un circolo romano del PCI, siamo negli anni ’50, i cui affiliati, (certo, il termine affiliati può apparire fuori luogo, più da setta che da partito politico, ma tant’è. All’epoca il partito comunista era piuttosto alieno da concessioni o compromessi sul piano delle opinioni e dei comportamenti), entrano in crisi durante la rivoluzione ungherese del 1956.
Ennio, segretario della sezione, fedele ai principi del partito, sostiene fortemente l’invasione russa mentre Vera, la moglie e molti altri del circolo, solidarizzano appunto con la causa ungherese. Il film stenta però ad andare avanti perché il produttore Pierre, pesantemente indebitato, non ha i soldi per coprire le spese. Sarà la moglie ad aiutarlo, mettendo in mano ai ricchi finanziatori coreani con i quali sta lavorando, la produzione della pellicola.


Fonte: ARTE IN CAMPANIA

A questo punto Giovanni, come rinsavito, decide di stravolgere la trama del film. Ennio che doveva impiccarsi a causa delle contraddizioni alle quali era obbligato sottostare, non compie più l’insano gesto, ma sposa la causa dell’amata moglie e il giorno dopo sull’Unità compare il titolo “Unione Sovietica addio”. Come dire che il PCI, al contrario di quanto avvenuto nella realtà, abbia deciso di togliere il suo appoggio all’Unione Sovietica.
Il finale vede tutto il cast del film, più tanti attori iconici delle pellicole di Moretti, che marciano gioiosamente lungo la via dei Fori Imperiali portando in processione bandiere rosse e una gigantografia di Trotzky, felici che l’utopia comunista, grazie all’abbandono della linea filosovietica, si sia finalmente realizzata. Una parata felliniana ispirata e omaggiante apertamente a otto e ½ del regista riminese, ma anche l’anelito verso un sogno che solo il cinema può realizzare.
Cambiare gli avvenimenti stravolgendo la storia, riscrivere il mondo ideale facendo tesoro degli errori, anche se alla fine si tratta solo di una visione onirica appunto. Come in “C’era una volta a Hollywood” e “Bastardi senza gloria” di Quentin Tarantino.
L’spirazione felliniana prosegue con le suggestioni del circo, ma anche del finale de “La dolce vita”. Le citazioni e i riferimenti a film che hanno fatto la storia del cinema non sono però solo verso Fellini e Tarantino, ma anche verso John Cassavetes, i fratelli Tavani ed altri. Ciò che emerge è un grande amore di Moretti per la settima arte e un altrettanto grande nostalgia verso quello che avrebbe potuto essere e non è stato. Ora qui si inserisce la critica, mai come stavolta molto divisa, chi lo giudica un ottimo film, chi tutto sommato abbastanza buono e poi ci sono i morettiani.
E già perché il regista romano è contornato da fan che lo seguono da quasi mezzo secolo, quelli noti a tutti come morettiani appunto. Il bello è che sono proprio questi ultimi, e non è la prima volta, visto che la cosa è cominciata almeno una decina di anni fa, che esprimono il giudizio più feroce verso i suoi ultimi film. Con questa pellicola a loro dire il regista avrebbe davvero toccato il fondo.
Un film insulso, banale, pieno di citazioni che assomigliano più a un plagio che a un omaggio, un film che trasuda la più becera nostalgia e che si regge, anzi non si regge, su una mancanza di idee, che ha abiurato all’antico spirito rivoluzionario.
Come il tradimento di una donna tanto amata alla quale non si può perdonare l’infedeltà perpetrata. Già, l’infedeltà, il tradimento, parole grosse, dette, quasi urlate, con rabbia, risentimento e forse una punta di disprezzo.
Ovviamente non condivido una sola parola di questi amanti traditi, persone che dal mio punto di vista giudicano secondo un metro personale egoistico e autoreferenziale. Moretti non dice quello che vorrebbero e allora via, non interessa più, è un regista bollito che ha perso lucidità.
L’errore non è tanto nel giudizio, com’è ovvio ognuno è libero di pensarla come vuole, ma nell’incapacità di effettuare anche il più piccolo tentativo di entrare nella testa dell’autore, lo stesso che mezzo secolo fa osannavano qualsiasi cosa facesse. Il loro giudizio appare frutto di una presa di posizione ideologica e quindi non lucida, qualcosa che esce dalla pancia più che dalla testa.
Ciò che credo è che “Il sol dell’avvenire” sia un bel film, l’opera di un regista che non ha più vent’anni e che racconta quello che sente guardando l’epoca che vive con gli occhi disincantati di chi avrebbe voluto cambiare il mondo e non c’è riuscito, (anche se a mio avviso i suoi film una piccola rivoluzione l’hanno realizzata, non foss’altro obbligandoci a vedere le cose secondo una prospettiva diversa).
Prova ne è paradossalmente proprio questo suo ultimo Sol dell’avvenire, dolce e affettuoso come una favola antica, ma anche forte e tenace come un sogno al quale non si vuole rinunciare.
Lello Mingione

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