Arrestato il serial killer che nella notte fra giovedì e venerdì ha terrorizzato il quartiere Prati a Roma
“Il mattino ha l’oro in bocca” recitava un vecchio proverbio e quello di domenica 20 novembre fa può certamente ritenersi un buongiorno per Roma e i romani. Come in un sogno, dopo il barbaro omicidio di tre prostitute nel quartiere Prati, la Capitale si è svegliata, libera dall’incubo che un nuovo serial killer potesse aggirarsi indisturbato fra le sue vie.
La rapidità delle indagini, condotte dalla Procura e dalla Squadra Mobile, hanno infatti permesso di accertare i fatti e di giungere efficacemente alla risoluzione di questo sanguinoso enigma. Tanto che, già nel pomeriggio di sabato, il Questore di Roma, Mario Della Cioppa, aveva tranquillizzato la cittadinanza che non ci sarebbero stati altri delitti. Da qui, la notizia, giunta solo alcune ore dopo, del fermo del presunto killer. Il suo nome è Giandavide De Pau, pregiudicato legato alla malavita romana e uomo di fiducia del boss della Camorra Michele Senese.
L’uomo, un cinquantenne condannato in passato per spaccio di droga, stupro e lesioni aggravate, era finito negli ultimi anni in cura per alcuni disturbi psichici, indotti dalla sua tossicodipendenza. Proprio la droga sarebbe stata alla base di tale follia omicida. Sotto l’effetto di stupefacenti, De Pau si sarebbe, infatti, recato a casa della prima vittima, Martha Castano, prostituta colombiana sessantacinquenne, in via Durazzo, e qui l’avrebbe uccisa, probabilmente con uno stiletto.
Dopo poco, ancora in stato confusionale, si sarebbe recato, a piedi, nella vicina via Riboty e avrebbe mortalmente trucidato due prostitute cinesi, di cui non si conoscono tuttora i nomi. De Pau avrebbe, poi, vagato per due giorni, in stato d’alterazione, fino a tornare a casa sua, a Primavalle, dove abita con la madre e la sorella. Proprio qui, gli inquirenti avrebbero ricevuto una “soffiata” dai familiari dell’uomo e si sarebbero presentati all’alba per prelevarlo e condurlo davanti al PM per l’interrogatorio di garanzia.
Allo stato dei fatti, l’omicida ha dichiarato di non ricordare quasi nulla di quanto avvenuto, pur non smentendo gli addebiti a lui ascritti.
Determinanti, infine, nel lavoro degli investigatori, sono state la testimonianza di un’escort cubana e il video di una telecamera che riprende De Pau nella zona durante l’orario dei delitti; immagini che, una volta confrontate con quelle già in possesso della Procura, hanno permesso di identificare De Pau e di catturarlo. Sconosciuto resta, invece, il movente del triplice omicidio.
È molto probabile che l’assassino, affetto da un disturbo comportamentale di tipo borderline, certificato anche dal Sert, abbia avuto un crollo psicotico, favorito dal consumo di farmaci e sostanze stupefacenti. Inoltre, per il suo modus operandi, pare evidente che l’uomo non può essere considerato un serial killer nel senso tradizionale del termine. Ancor meno può essere paragonato, come ipotizzato da qualcuno, a “Jack lo Squartatore”, il quale uccideva le prostitute per ragioni ben più oscure.
Lo squartatore londinese, infatti, la cui identità non è mai stata scoperta, assassinava le prostitute a causa di una radicata misoginia, connessa a una sua plausibile impotenza o iposessualità. L’efferatezza dei suoi omicidi, contraddistinti da freddezza e premeditazione, allontanano poi il profilo di De Pau da quello di “Jack the Ripper” anche per l’assenza del feticismo, un tratto che, se vogliamo, avvicina l’assassino inglese ad altri serial killer italiani (fra tutti il “Mostro di Firenze”).
In senso contrario, la vicenda di De Pau ricorda molto quella di “Jack Lametta”, meglio conosciuto come lo “Sfregiatore della Tuscolana”, il quale nell’estate del 1983 sfregiò otto persone fra la Casilina e Cinecittà. Tuttavia, nel caso dello “Sfregiatore”, che non ha causato morti, si parlò di uno squilibrato, fuggito presumibilmente da una casa di cura e che colpiva in modo apparentemente casuale (le vittime erano diverse per età e sesso). Entrambi, però, sono il riflesso dello stato di alienazione in cui alcuni soggetti, mentalmente instabili, finiscono per cadere, abbandonandosi ai propri demoni interiori.
Incubi che, il più delle volte, fanno la fortuna della stampa, popolando le prime pagine dei quotidiani, ma che con il passare del tempo, una volta che il clamore si è spento, vengono inevitabilmente dimenticati, residuando esclusivamente nelle cronache d’epoca e nei verbali d’inchiesta che li hanno riguardati.
Gianmarco Pucci