Fenomeni simili si sono già verificati nei secoli passati, senza però condurre a un’estinzione di massa come quella avvenuta 10.000 anni fa
È proprio il caso di dire che non esistono più le mezze stagioni. Quest’anno la Pasqua ha, infatti, portato con sé, oltre ai tradizionali riti religiosi, un freddo assai insolito per il mese di aprile. Si è praticamente passati da temperature miti, tipiche della primavera, con punte fino a 20 gradi, a temperature invernali, accompagnate da piogge e forti venti. Uno scenario che ricorda quello di fine gennaio, allorché a farci battere i denti erano stati i famigerati “Giorni della merla”.
Per chi fosse ancora scettico, questa è una prova inconfutabile di quei cambiamenti climatici che minacciano in modo prepotente la sopravvivenza del nostro ecosistema. Cambiamenti climatici che proprio in questi giorni sono stati al centro di un’importante ricerca scientifica condotta da un gruppo di ricercatori dell’Università di Chicago. Gli studiosi si sono, al riguardo, soffermati sul riscaldamento globale e sull’influenza di questo nello scioglimento dei ghiacciai in Antartide.
Secondo essi, la diminuzione del ghiaccio marino a largo della costa antartica rischierebbe, ostacolando la circolazione termoalina, di ridurre la temperatura media della Terra. Ciò potrebbe renderci testimoni, nel corso di questo secolo, di una nuova glaciazione. L’arrivo del “Grande Freddo” sarebbe previsto, secondo gli scienziati, intorno al 2050, quando cioè la temperatura globale scenderà gradualmente di 2 gradi centigradi l’anno. Questo fatto, che a una prima lettura potrebbe risultare allarmante, apre certamente a scenari imprevedibili, ma non necessariamente catastrofici.
Fenomeni simili si sono già verificati nei secoli passati, senza però condurre a un’estinzione di massa come quella avvenuta 10.000 anni fa. Per gli scienziati, un illustre precedente sarebbe da ricercare nella “Piccola Era Glaciale”, verificatasi nell’emisfero nord oltre due secoli fa. Tale glaciazione, molto diversa da quella verificatasi nel periodo precambriano, si protrasse dal 1430 al 1850 e si generò in un contesto meteorologico simile a quello odierno. Anche allora, dopo un lungo arco di tempo caratterizzato da temperature elevate, si vide il progressivo aumento dei ghiacciai, ritiratisi fino quasi a scomparire nei lustri precedenti.
Gli inverni divennero più lunghi e freddi, con ghiacciate fino ai mesi primaverili di marzo e aprile. Spesso e volentieri arrivava anche a nevicare in piena estate. Proprio durante questo periodo accadde che molti grandi fiumi come il Po in Italia e il Tamigi a Londra ghiacciassero, rendendo percorribile a piedi la loro superficie in inverno. Nacque, addirittura, nei paesi del Nord Europa l’usanza di celebrare vere e proprie “fiere del ghiaccio”, che si svolgevano nel letto di fiumi completamente ricoperti da strati spessissimi di permafrost (tali, da reggere, ad esempio, il peso di un pachiderma).
Ciò determinò, tuttavia, pure effetti negativi: il clima freddo favorì la distruzione dei raccolti con susseguenti e inevitabili carestie; le temperature eccessivamente rigide resero inabitabili interi villaggi e che vennero di lì a poco abbandonati; il proliferare di malattie come la peste e il vaiolo, per i quali allora non c’era ancora nessuna cura efficace, favorirono l’attività di maghi e alchimisti.
Fonte: nuovefrontiere.eu
Parallelamente al repentino diffondersi della superstizione, a fronte dell’incapacità della scienza del tempo di spiegare questo freddo anomalo, si assistette a una nuova caccia alle streghe, ree di aver stretto un patto con il demonio per seminare fame e distruzione in Europa. Tuttavia, nonostante tale mattanza ad opera dell’Inquisizione, La Piccola Era Glaciale si concluse da sola, allorché le temperature iniziarono nuovamente ad aumentare.
Molte teorie sono state avanzate sulle possibili cause che hanno favorito l’avvento del Grande Freddo. Una prima teoria è precisamente quella fatta propria dagli scienziati dell’Università di Chicago, secondo cui sciogliendosi i ghiacciai abbasserebbero la pressione terrestre, incentivando la deriva dei continenti e influenzando il moto orbitale della Terra intorno al Sole. Ciò, deviando l’angolo di inclinazione dell’asse terrestre, causerebbe una ridotta incidenza dei raggi del Sole sul pianeta e quindi il raffreddamento dell’atmosfera. La seconda teoria riguarda propriamente l’attività solare.
Nel corso di questi secoli, infatti, si è assistito a una riduzione delle macchie presenti sulla superficie solare. Tale indice di abbassamento del livello di energia del Sole è stato osservato, in particolare, fra il 1650 e il 1715, allorché le macchie sparirono quasi completamente, dando luogo all’identificazione di questa fase geologica con il minimo di Maunder (dal nome di Edward Walter Maunder, l’astronomo che nel 1900 ha studiato il fenomeno).
Oggi, secondo le ultime osservazioni effettuate dalla Nasa, sembra che lo scenario si stia riproponendo, registrandosi una diminuzione sensibile dell’energia solare. Suddetto fenomeno produrrebbe altresì un altro effetto degno di nota. la diminuzione dell’attività solare può, di riflesso, portare a brillamenti (tempeste solari) suscettibili di disturbare le onde radio e elettromagnetiche che viaggiano nella Ionosfera (volgarmente conosciuta come Etere). In tale circostanza non sarebbe nemmeno da escludere un vero e proprio blackout di tutte le comunicazioni radio dalla durata non preconizzabile.
Pertanto, è evidente come se anche non ci si avvia verso la fine del mondo, dovremo negli anni a venire rivedere radicalmente il nostro modo di vivere e il nostro rapporto con la natura. Una natura, che dopo decenni di profanazione rapace da parte dell’uomo, rischia di presentarci un conto molto salato e dagli esiti imprevedibili. Tale processo, come dimostrato dalla recente esperienza del Covid, è già in atto e non può che illuminarci sulla necessità di agire subito per scongiurare una catastrofe annunciata.
In tal senso, l’inconcludenza dei dibattiti scientifici non garantisce la ricerca di una soluzione positiva al problema, ma al contrario alimenta dubbi e pregiudizi. Gli stessi che abbiamo visto all’opera nell’ultimo periodo riguardo ai vaccini e che, creando nuove false credenze, rischiano di riportarci ai tempi bui che furono, in ossequio al famoso motto per cui il sonno della ragione genera da sempre Infiniti mostri.
Gianmarco Pucci