L’assalto dell’8 gennaio da parte dei bolsonaristi a Parlamento, Corte suprema e palazzo dell’esecutivo, non ha rovesciato il governo Lula, però apre una faglia nella solidità democratica del Brasile
Quanto avvenuto domenica 8 gennaio a Brasilia ha turbato profondamente l’opinione pubblica nazionale e internazionale. Una delle molte domande che restano ancora senza risposta esatta è se la tenuta della democrazia in Brasile non ne sia uscita danneggiata, anche se l’assalto alle sedi istituzionali di fatto non ha avuto come esito quello di rovesciare il neonato governo Lula.
L’opinione della maggior parte dei commentatori concorda con il dire che gli imprenditori, i latifondisti e le classi sociali di cui si compone il mosaico del più importante Paese dell’America latina sono più o meno favorevoli al presidente Lula, ma certamente sono per oltre il 50 per cento contro l’ex presidente Bolsonaro. È bene osservare anche che le forze armate brasiliane non sono interessate a fomentare un altro colpo di Stato dopo quello realizzato nel 1964.
Da questo punto di vista i tempi sono cambiati anche negli ambienti militari, dove non si riscontra più un compattamento ideologico a prova di golpe.
Tuttavia, l’attacco al cuore del sistema democratico brasiliano è stato paragonato da tutti i mass media a quello perpetrato il 6 gennaio 2021 a Capitol Hill, a Whashington, sede del Congresso americano, dai sostenitori dell’allora presidente uscente Donald Trump. Lo scopo dei bolsonaristi è scatenare il caos, cosa che nelle loro intenzioni non lascerebbe altra scelta alle forze armate che d’intervenire con un golpe per restaurare l’ordine e mettere fine al governo Lula.
Resta il fatto che l’insurrezione dell’8 gennaio a Brasilia pone tantissimi interrogativi. Uno di questi è come sia stato possibile che 24 ore prima una cosa come oltre 80 autobus pieni zeppi di bolsonaristi si dirigessero indisturbati verso la capitale e poi, una volta arrivati a destinazione, le migliaia di manifestanti marciassero sino a piazza dei Tre poteri, da dove hanno assaltato i palazzi del quartier generale istituzionale del Planalto (sede dell’ufficio di presidenza del Brasile). Dalle prime ricognizioni sembra che il governatore di Brasilia, responsabile dell’ordine pubblico nella capitale, non abbia emanato l’ordine di sbarrare il passo ai manifestanti, ritenendo la situazione sotto controllo. Di conseguenza i bolsonaristi, non trovando blocchi di Polizia o delle forze armate, sono giunti fino al Congresso e da lì, nel caos più totale – condito peraltro da atteggiamenti festaioli di molti poliziotti che si scattavano i selfie – è avvenuto l’assalto vandalico vero e proprio ai palazzi istituzionali.
Nei giorni successivi sono scattati migliaia di arresti e la Corte Suprema del Brasile ha deciso d’includere fra gli indagati l’ex presidente, Jair Bolsonaro, che già un paio di giorni prima dell’insediamento (dal 1° gennaio di quest’anno) del presidente Lula era partito per la Florida. A Orlando l’ex presidente brasiliano è stato ricoverato in ospedale per ricevere cure per una occlusione intestinale. <<Dopo la coltellata ricevuta a Juiz de Fora, ho subito cinque interventi chirurgici e dall’ultimo mi hanno riscontrato un’aderenza che mi costringe ad altre terapie mediche>>, aveva spiegato Bolsonaro, ricordando l’attentato del settembre 2018, durante la sua campagna per le presidenziali.
La richiesta d’iscrivere l’ex presidente del Brasile fra gli indagati è stata avanzata dal procuratore generale, Augusto Aras, che ipotizza a suo carico i reati di “istigazione e paternità intellettuale” in merito all’assalto compiuto dai suoi sostenitori, in particolare per avere pubblicato un video (poi cancellato) dove “si mette in dubbio la regolarità delle elezioni presidenziali del 2022”. Inoltre, è stata reperita nella casa dell’ex ministro della Giustizia Anderson Torres, ora agli arresti dopo il suo rientro a Brasilia dalla Florida, dove si tratteneva in vacanza,una bozza di decreto che ipotizza il ribaltamento del risultato delle presidenziali di ottobre (elezioni del 2022 vinte da Lula).
Il ritorno di Lula alla presidenza del Brasile (la sua terza volta non consecutiva) ha avuto un’eco importante non solo in America latina, ma in tutto il mondo e sotto la sua presidenza il Brasile può tornare a giocare un ruolo attivo anche negli organismi internazionali. Lula gode innanzitutto di vasto numero di sostenitori interni, che sono i suoi elettori di sempre e che hanno sempre creduto in lui, e che infatti, in risposta all’assalto dei bolsonaristi, hanno inscenato imponenti manifestazioni a favore della democrazia soprattutto nella città di San Paolo, dove una parte dell’Avenida Paulista, la strada più famosa del Brasile, è stata bloccata al traffico mentre la folla cantava e ballava chiedendo giustizia.
Telefonate e messaggi di solidarietà e sostegno a Lula sono giunti da tutti gli stati del mondo e il presidente americano Joe Biden, che ha invitato Lula alla Casa Bianca per questo febbraio, ha dichiarato che la situazione di assalto in cui si era trovato il Brasile era oltremodo oltraggiosa. Anche dall’Italia Giorgia Meloni ha dichiarato che le scene provenienti dal Brasile sono “incompatibili con qualsiasi forma di dissenso democratico”.
Ora, se sul piano delle relazioni internazionali Lula può quindi contare su un davvero vasto sostegno, a livello interno invece deve tenere a bada dinamiche assai scivolose. Uno dei problemi sono i governatori dei 27 stati brasiliani (26 stati più il distretto federale di Brasilia), molti dei quali sono tuttora filo-Bolsonaro, e anche fra i ministri del nuovo governo federale Lula potrà trovare filo da torcere. Ad esempio, da parte del ministro della Difesa, José Mucio Monteiro, che aveva definito gli insorti come “democratici con il diritto di manifestare”.
Del resto, la vittoria di Lula al ballottaggio del 30 ottobre 2022 è risultata di stretta misura. Lula si è imposto in 13 stati brasiliani (ottenendo il 50,90 per cento dei voti) e Bolsonaro in 14 (con il 49,10 per cento dei voti).
Bolsonaro, lungi dall’essere un semplice conservatore, incarna le idee e i metodi di una destra estrema e pur se subissato dalle critiche per l’aumento vertiginoso della povertà in Brasile (32 milioni di brasiliani malnutriti su una popolazione di 215 milioni d’individui) e per la svendita di un polmone verde come l’Amazzonia, riesce ad aggregare sulle sue idee autoritarie e razziste quasi la metà dei brasiliani.
Lula, le cui posizioni sono divenute meno “rosse” rispetto agli esordi, appare oggi un presidente riformista e moderato di centro-sinistra che dovrà necessariamente mediare con il Congresso, che è il fulcro della politica brasiliana, ma dove la coalizione progressista che lo sostiene è minoritaria. E l’ago della bilancia sono senza dubbio i partiti centristi, slegati dalle vecchie ideologie e orientati verso un pragmatismo pratico e talvolta opportunistico. Questa volta l’impresa di Lula, inutile negarlo, per portare tutti dalla sua parte non sarà per niente facile.
Daniela BLU
***
IL GIALLO DELLA CITTADINANZA ITALIANA PER BOLSONARO
Sui media sono circolate voci in merito alla richiesta di cittadinanza italiana da parte di Jair Bolsonaro (68 anni) e di suo figlio Eduardo (39 anni, deputato del Congresso), ma arriva la smentita del nostro ministro degli Esteri Antonio Tajani: <<L’ex presidente del Brasile Jair Bolsonaro non ha mai chiesto la cittadinanza italiana, poi ci sono delle leggi. Ci sono persone che hanno diritto a chiederla, ma lui non l’ha richiesta>>. Così Tajani a Radio anch’io rispondendo a una domanda, dopo che il deputato di Alleanza Verdi Sinistra Angelo Bonelli (co-portavoce di Europa Verde) aveva presentato un’interrogazione urgente allo stesso ministro degli Esteri, sulla base delle notizie divulgate dal settimanale Istoé, secondo cui “tutta la famiglia Bolsonaro intende ottenere il prima possibile il rilascio della cittadinanza italiana presso l’Ambasciata d’Italia a Brasilia e venire in Italia il prima possibile”. Noi aggiungiamo, come nota di curiosità, che entrambi i genitori di Jair Bolsonaro erano di origini italiane.
*****
UN RITRATTO DI LUIZ INÁCIO DA SILVA, DETTO LULA
Nel 2017, Lula (che oggi ha 77 anni) ha subito uno dei più noti casi di persecuzione politica attraverso i tribunali, quando è stato condannato senza prove a 12 anni di carcere per un caso di corruzione, il che gli ha impedito di candidarsi alle elezioni del 2018, quelle in cui Bolsonaro ha finito per vincere.
La Corte Suprema annullò la condanna nel 2021 e Lula (che ha trascorso 19 mesi in carcere) riacquistò i suoi diritti politici, presentando una nuova candidatura presidenziale che l’ha portato a sconfiggereil rivalenelle elezioni dell’ottobre del 2022.
In questa impresa Lula ha nuovamente ottenuto il sostegno della CUT, la Confederazione sindacale brasiliana e dei partiti della sinistra brasiliana, ma anche l’appoggio di una parte della borghesia. Non a caso, Lula ha accettato il sì decisivo di una parte della destra rappresentata dal candidato alla vicepresidenza Geraldo Alckmin.
La prima decisione politica della terza presidenza di Lula (non consecutiva) è stata d’intervenire a favore dell’Amazzonia, divenuta preda della speculazione internazionale con la distruzione di gran parte della foresta. Ora però deve affrontare le difficoltà della crisi economica di carattere globale che si riflette sul Brasile, con l’aumento della spesa pubblica a fronte di un calo nelle esportazioni, un gap che dovrà essere sostenuto dall’incremento delle tasse sui ceti agiati.
Luiz Inácio da Silva, nato nello stato brasiliano del Pernambuco da una famiglia povera e priva d’istruzione, fu soprannominato quando era ancora bambino Lula (in portoghese significa calamaro). Fino all’età di cinque anni non conobbe il papà, costretto a lavorare lontano. Quando la famiglia decise di trasferirsi nel sud del Brasile, a Santos, per riunirsi al padre, fecero un viaggio di tredici giorni fermandosi col camion che li trasportava nelle stazioni di servizio. Lula divenne poi un tornitore. Fino all’età adulta, non si era mai occupato di politica, né del sindacato, sottoposto in quegli anni al regime militare. Suo fratello Frei Chico, operaio, era invece membro di uno dei due sindacati comunisti in forma clandestina. Il destino di Lula cambiò in modo imprevisto quando Frei Chico fu arrestato dalla polizia. Lula, profondamente colpito, divenne quindi un esponente importante del sindacato, anche se la lotta sindacale nelle forme consuete era proibita.
Senza esserselo inizialmente posto come obiettivo, Lula divenne un protagonista del sindacalismo operaio e anche uno dei capi del nuovo sindacalismo dei metalmeccanici, riscuotendo sempre più successo come leader nell’area più industrializzata del Brasile, quella di San Paolo. Nel 1980 cominciò a frequentare un gruppo di intellettuali di sinistra e quando si costituì il Partito dei lavoratori (PT) Lula ne divenne il capo. Fu il primo passaggio destinato a cambiare la storia politica del Brasile. Nel 1983 si ebbe il secondo, con la creazione della CUT, la Centrale unica dei lavoratori.
Quando il regime militare perse il controllo del Paese, Lula eraormai alla testa di un grande movimento popolare e fu eletto alla Camera dei deputati. Nel 1989 fu proposto dal partito alla presidenza della Repubblica, sfiorando la vittoria. Lula, considerato un leader carismatico, era in quegli anni un esponente politico di fama internazionale, sia per la fondazione del più importante sindacato dell’America latina, sia per il ruolo politico che l’aveva portato alla soglia della presidenza. Fu invitato in decine e decine di Paesi, ma l’Italia divenne uno dei luoghi dove era più amato.
Negli anni ‘90 le elezioni brasiliane furono vinte da Fernando Henrique Cardoso, un intellettuale sostenuto dalla destra; tuttavia, alle presidenziali del 2002 al secondo turno la vittoria di Lula fu schiacciante. Era iniziata una nuova era per il Brasile. Lula formò un governo sorprendente perché appoggiato da alcuni partiti della destra brasiliana. Poi, durante il suo doppio mandato, mutò radicalmente e tra il 2003 e il 2010 il ruolo del Brasile divenne di primo piano sulla scena internazionale. In quegli anni il Brasile fu un modello di cambiamento economico per la lotta alla povertà e all’inclusione sociale. Poi però, lungo il suo glorioso percorso politico, Lula s’imbattè nel suo nemico, Bolsonaro.
D.B.