Le parabole dei leader della politica italiano mostrano l’insufficienza di questo modello

Ciò che ha sempre suscitato il nome di Silvio Berlusconi quando lo si leggeva sui giornali in questi ultimi anni, è un sentimento di profonda compassione per l’immagine grottesca dovuta all’incongruenza tra le sue ambizioni politiche e il consenso di cui godeva gli ultimi tempi e di cui oggi gode il suo partito, vedovo del suo leader.

Le occasionali resurrezioni, simili a quelle di un’araba fenice, non hanno da diversi anni preoccupato gli avversari ma illudono gli affezionati, ancora aggrappati ai tempi del “menomale che Silvio c’è”, specialmente dopo la sua scomparsa e la consegna del partito nelle mani di Tajani e dei vecchi e relativamente nuovi maggiorenti di Forza Italia. E’ evidente che il mito politico di Berlusconi, come quello di chiunque, non poteva durare all’infinito, ma è giusto constatare che la maturata incapacità del suo partito di incidere sul contesto politico italiano non ha permesso allo stesso di rifondarsi e di continuare così il suo corso e avere una sua ultima risurrezione prima della morte del Cavaliere, sebbene a questo abbiano, come è ovvio, ampiamente concorso l’irrompere prepotente degli altri due partiti del centro-destra.

Fonte: il Giornale

L’esempio di Silvio però non sembra aver insegnato nulla né ai suoi alleati né ai suoi avversari politici. La parabola dei leader politici sembra ancora seguire la stessa dinamica, anzi ad una velocità maggiore. Un exploit iniziale che porta a racimolare consensi, seguito dalla fase del ripensamento e infine dell’odio politico degli elettori. I motivi di tale dinamica sono sicuramente tanti, ma molti degli esempi politici che abbiamo di fronte, da Renzi a Grillo, a Salvini sono accomunati dal vizio di aver lasciato troppo spazio alla componente leaderistica, senza dubbio necessaria, ma rischiosa per quel che riguarda la tenuta stessa del proprio partito.

Il declino dei capi politici, infatti, avviene proprio dopo che la personalizzazione ha logorato i partiti. Non che la soluzione al problema sia il venir meno dei leader ma, come ovvio, un sano equilibrio tra personalismo e pluralismo politico assicurerebbe probabilmente ai partiti percorsi più equilibrati e un ricambio generazionale più sicuro.

Alberto Fioretti

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