Le decisioni del primo ministro Erdogan in che direzione portano il paese anatolico?
Il presidente turco Erdogan ha ritirato oltre un anno fa il suo Paese dalla Convenzione del Consiglio d’Europa per contrastare la violenza sulle donne, gli stupri coniugali e le mutilazioni genitali femminili.
La Convenzione, nota anche come Convenzione di Istanbul proprio perché – ironia della sorte – è stata ratificata nella città turca e proprio la Turchia era stato il primo Paese a sottoscriverla, detta delle linee-guida per contribuire al miglioramento della legislazione interna dei Paesi aderenti su questi temi.
Entrata in vigore nel 2014, ad oggi vi aderiscono 45 Paesi in tutto il mondo, a cui si aggiunge l’Unione Europea.
La scelta del governo turco, contro cui si erano ferocemente scagliate le opposizioni, si colloca lungo il percorso di radicalizzazione e deriva autoritaria intrapreso ormai da diversi anni. Il vicepresidente Oktay ha commentato la decisione affermando che la dignità delle donne turche può essere onorata solo rispettando le tradizioni e i costumi del Paese, e non passa certo dall’imitazione di esempi esterni.
Fonte: Zero Zero News
Parole e azioni che pesano tantissimo in un Paese in cui le stime mostrano che solo nell’ultimo anno sono state uccise 300 donne e l’Organizzazione mondiale della sanità riporta che almeno il 40% ha subito violenza da parte del proprio partner, a fronte di una media europea che si aggira intorno al 25%. Parole e azioni che sono però frutto di una scelta politica precisa del presidente: quella di far leva sulla parte più conservatrice della popolazione e ingraziarsi i membri più estremisti del suo partito, l’AKP, che da anni lamentano l’incompatibilità della Convenzione rispetto ai princìpi dell’Islam.
L’ennesimo passo di emancipazione e allontanamento dai modelli occidentali il cui prezzo la popolazione sta già pagando.
Alberto Fioretti