Il pericolo di una possibile escalation nucleare, a un anno dal conflitto, non è ancora completamente fugato
Era dai tempi della Guerra Fredda che la difesa dei cieli non animava una disputa territoriale per il controllo del globo. L’ultima, al termine della conquista dello spazio negli anni ‘60, era stata quella sullo scudo antimissilistico americano, voluto dall’amministrazione Reagan per proteggere gli Stati Uniti da un possibile attacco nucleare russo sul proprio suolo. Da allora, le superpotenze hanno preferito, complice il rapido espandersi della tecnologia, ricorrere a strumenti maggiormente sofisticati per prevalere l’una sull’altra. Questo fino alla settimana scorsa, allorché un pallone sonda cinese è stato avvistato nei cieli del Montana, al confine fra Stati Uniti e Canada. Washington ha da subito accusato la Cina di spiarla e ha chiesto al governo cinese di ritirare immediatamente il proprio aerostato.
Piccata è stata la risposta di Pechino, che ha smentito tale ricostruzione, addebitando lo sconfinamento del pallone meteorologico all’azione dei venti che lo avrebbero trascinato nello spazio aereo statunitense. Tuttavia, ciò non è bastato ad evitare l’abbattimento del velivolo, avvenuto successivamente al largo delle coste della Carolina del Sud. I resti del pallone sono stati poi recuperati dai sommozzatori della marina americana e sono adesso nei laboratori del Pentagono, dove una squadra di esperti li sta esaminando alla ricerca di prove che dimostrino l’avvenuto spionaggio.
È la seconda volta, nel giro di pochi mesi, che il confronto fra USA e Cina si fa turbolento. Tale episodio, infatti, avviene a pochi mesi di distanza dall’incidente di Taiwan, che aveva provocato forti tensioni fra le due diplomazie. La visita di Nancy Pelosi a Taipei della scorsa estate era stata da più parti ritenuta inopportuna, ingenerando un certo imbarazzo anche negli ambienti vicini alla Casa Bianca. Se non altro per il ruolo strategico che la Cina può avere nel dirimere la difficile situazione internazionale creatasi con lo scoppio della Guerra in Ucraina.
Il pericolo di una possibile escalation nucleare, a un anno esatto dall’inizio del conflitto, non è ancora completamente fugato. Tanto da registrare un nuovo innalzamento del livello dello scontro in atto. La decisione dell’Unione Europea di inviare carri armati a Kiev ha, infatti, spinto Putin a reagire a quelle che lui definisce “provocazioni occidentali”.
Per la prima volta dall’inizio della guerra, la Russia ha impiegato in Ucraina i potenti missili ipersonici Kinzhal, capaci di viaggiare fino a 12. 000 Km di distanza e violare ogni difesa aerea. Putin ha motivato tale scelta, parlando della necessità di proteggere la Russia dalle intenzioni bellicose della NATO, paragonata dal Cremlino alla Germania Nazista per l’apporto dato alla causa ucraina. Invero, era dalla fine dell’ultima guerra mondiale che la corsa al riarmo non conosceva ritmi così frenetici.
Il rafforzamento dei presidi militari, che delimitano le rispettive zone d’influenza, è un indice indefettibile di suddetta volontà guerrafondaia, che rischia di trasformare l’Europa in un campo di battaglia, senza vincitori né vinti.
In questo quadro acquista, dunque, importanza il ruolo svolto dai paesi terzi, che non avendo un interesse diretto nella disputa, ben potrebbero mediare fra le parti, dissuadendoli dal ricorrere eccessivamente ad azioni muscolari. Uno di questi paesi è proprio la Cina, che pur essendo alleata di Putin, ambisce a confrontarsi direttamente con gli Usa sul piano economico e militare.
Dopo aver superato la crisi innescata dal Covid, il “Dragone” si accinge a guidare la ripresa economica, che stenta a materializzarsi per l’aumento dei costi delle materie prime e del gas. Un fatto questo che, costringendo Pechino a dover rinunciare ai benefici di un mercato globale e interconnesso, potrebbe alla lunga deteriorare i rapporti con il vicino russo. Del resto, è dal 1860, ovvero dalla fine della dinastia Qing, che i cinesi non hanno mai smesso di considerare la Siberia parte integrante del loro territorio.
Un territorio che negli ultimi trent’anni i cinesi hanno progressivamente colonizzato e che offre tuttora spunti interessanti per capire un mondo che si sta spostando sempre di più verso Oriente.
Gianmarco Pucci