Dopo anni di chiacchiere inconcludenti si è finalmente sbloccata la paralisi su un tema tanto complesso quanto divisivo
Lo scorso 3 febbraio, il Presidente Mattarella, nel pronunciare il suo discorso di insediamento alle Camere, ha colto l’occasione per denunciare il grave stato in cui versa l’amministrazione della giustizia nel nostro paese, auspicando un immediato intervento da parte del legislatore in tal senso.
Il Presidente, in particolare, si è soffermato sulla necessità di garantire l’indipendenza e la credibilità dell’Ordine Giudiziario, evitando che la giustizia diventi terreno di scontro fra la politica e la Magistratura. Un appello che il governo ha raccolto positivamente in questi giorni. Nell’ultima conferenza stampa convocata da Draghi, il premier, coadiuvato dal Guardasigilli Marta Cartabia, ha annunciato l’intenzione del governo di riformare la giustizia entro la riunione del nuovo CSM a maggio. Il disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri prevede al riguardo tante interessanti novità.
A partire proprio dal funzionamento del CSM, che cesserà di essere costituito esclusivamente da magistrati espressione delle correnti e che si aprirà a candidature estranee alle logiche elettorali. Non saranno, altresì, ammesse le nomine a pacchetto dei capi degli uffici giudiziari su cui proprio due anni fa si consumò lo scandalo Palamara.
Infine, la parte più innovativa della riforma, salutata fieramente da tutte le forze di maggioranza, ovvero la fine delle cosiddette “porte girevoli”. Con l’entrata in vigore della nuova legge, infatti, non sarà più possibile per i magistrati candidarsi politicamente e tornare al termine del mandato ad esercitare funzioni giurisdizionali. Si tronca così quella indebita commistione fra poteri che aveva negli ultimi anni screditato il lavoro della Magistratura. Tuttavia, la riforma non può ritenersi una rivoluzione copernicana, essendo ancora tante le questioni irrisolte, suscettibili di vanificare il lavoro di mediazione fin qui svolto dall’esecutivo. In particolare, le maggiori criticità si registrano sul versante dell’elezione dei membri del CSM.
Se, infatti, lo scopo della riforma è quello di sottrarre peso alle correnti, l’introduzione del sistema maggioritario (pur corretto dal recupero proporzionale) rischia al contrario di acuire l’influenza delle correnti, le quali potrebbero comunque pilotare le nomine, supportando taluni candidati indipendenti. Un rischio che, a prescindere dall’euforia manifestata sul tema, non scongiura nuovi scandali né il replicarsi della giustizia ad orologeria nel prossimo futuro. A tal proposito, non si può allora non guardare con timore alle inchieste dell’ultima ora.
In particolare, a quella sulla fondazione Open condotta dalla Procura di Firenze e che vede indagati l’ex premier Matteo Renzi e altri esponenti di Italia Viva. L’inchiesta, in vero, è inusitatamente paradossale, perlomeno sotto il profilo della tempistica, essendo giunta a poche ore dall’annuncio della riforma da parte del governo. Che si tratti di un maldestro tentativo di bloccare il cambiamento in atto? Forse, ma resta il fatto che dopo anni di chiacchiere inconcludenti si è finalmente sbloccata la paralisi su un tema tanto complesso quanto divisivo.
Un tema rimasto per troppo tempo sospeso fra innovazione e conservazione.
Gianmarco Pucci