Ci siamo abituati al “consumo” delle relazioni sentimentali nel breve termine, e abbiamo paura dei vincoli, perché sappiamo che prevarranno le prerogative personali su quelle di coppia
Durante la conferenza stampa di fine anno, tenutasi giovedì 4 gennaio, la premier Giorgia Meloni ha dato inizio al nuovo anno esprimendo la sua opinione sul tema quanto mai attuale della maternità. Era un intervento atteso dopo le dichiarazioni della senatrice Lavinia Mennuti, che nel racconto della sua esperienza personale alla trasmissione tv Coffee Break ha evidenziato l’importanza della maternità come prima ambizione femminile.
La premier ha ripreso il discorso dichiarando che “la maternità ti regala qualcosa che nessun’altra cosa ti può dare, ma non esclude la carriera”. A sostegno di ciò ha portato l’esempio di due donne che hanno intrapreso la carriera istituzionale, la presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen, madre di sette figli, e la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola, che ne ha quattro. L’ostacolo al progetto di vita familiare sarebbe quindi il gender gap esistente nel mondo del lavoro, da superare mettendo al centro il work-life balance.
Tuttavia, nonostante le misure introdotte a sostegno della conciliazione tra vita professionale e vita privata, i dati Istat sul censimento 2022 vedono un peggioramento della natalità con 393mila nati, 7mila in meno rispetto al 2021 e ben 183mila in meno rispetto al 2008, dati che registrano 5 anziani per ogni bambino con meno di sei anni.
Tra i provvedimenti previsti dal Lgs. n. 105 del 30 giugno 2022 troviamo il congedo di paternità obbligatorio, le novità sul congedo parentale per genitori, i permessi concessi per l’assistenza disabili, il congedo straordinario per l’assistenza ai disabili, la priorità di accesso al lavoro agile e la priorità di accesso al part-time.
L’agevolazione più recente è il bonus mamme lavoratrici, lo sconto sui contributi previdenziali previsto per le madri di almeno due figli e in possesso di un contratto di lavoro stabile.
Se questi progetti sembrano essere di buon auspicio per l’inversione del trend negativo, a rendere poco attrattiva la maternità non sarebbero solo le condizioni materiali, quali la precarietà lavorativa, le retribuzioni scarse o la mancanza di servizi per l’infanzia, ma soprattutto l’instabilità relazionale che caratterizza la società liquida.
Per dirla con Bauman, ormai ci siamo abituati al “consumo” delle relazioni sentimentali nel breve termine, piuttosto che a un investimento emotivo nel lungo termine e abbiamo paura dei vincoli, perché sappiamo che prevarranno le prerogative personali su quelle di coppia.
Pensando alla diffusione dell’app di dating più famosa al mondo, Tinder, ci rendiamo conto che è cambiato il concetto di primo appuntamento, perché i giovani preferiscono affidarsi alla velocità del match per trovare “l’amore” e riescono a mostrarsi come vorrebbero, sentendosi allo stesso tempo protetti dall’interfaccia.
Diminuisce la probabilità di insuccesso e ci si sente liberi di troncare dopo la prima uscita senza troppe cerimonie.
È chiaro quindi che trovare un partner che viva altrettanto responsabilmente la relazione è diventato più difficile. Accontentarsi di un partner qualunque pur di realizzarsi come madre/padre risponderebbe ad un’aspettativa sociale, ma questa scelta come si rifletterebbe da un punto di vista valoriale sui figli? Non si può correre il rischio di generare una pressione sociale sulle nuove generazioni, stigmatizzando la vita dei single e dandone l’immagine di una vita vuota o priva di senso.
Ad ogni modo, pensare che la crisi demografica del nostro paese sia imputabile alla volontà delle giovani donne corrisponde ad una visione piuttosto superficiale del fenomeno, perché stiamo considerando la vocazione alla paternità come secondaria. Sarebbe, invece, più opportuno parlare di genitorialità, superando una volta per tutte lo squilibrio di genere esistente nelle responsabilità di cura della prole.
Finché la società continuerà a considerare la figura materna indispensabile nella crescita dei figli e la figura paterna unicamente votata al loro sostentamento economico probabilmente la propensione ad avere figli non aumenterà.
Fonte: Medical House
La scelta della famiglia sul lavoro da parte delle donne non è sempre dettata da un’esigenza reale, ma è spesso il risultato di un problema culturale. Ne sono la prova le lavoratrici part-time che, pur avendo un curriculum valido sul mercato, scelgono di rinunciare ad un eventuale upgrade di carriera perché rifiutano il supporto nella crescita dei figli.
Va riconosciuto che i padri moderni hanno espresso il desiderio di essere coinvolti di più da questo punto di vista, ma si trovano a dover affrontare ostacoli normativi e sociali che impediscono l’accettazione del nuovo modello di paternità.
Il tema merita di essere trattato con estrema attenzione, perché la maternità, come la paternità, dovrebbe essere una scelta libera, frutto di un atto d’amore reciproco e autentico, che nulla ha a che vedere con il dovere sociale.
Diventare madre/padre ci riempie di gioia e ci restituisce molto di più di quello che doniamo, ma purtroppo non tutti hanno questa opportunità. Le istituzioni dovrebbero avere la sensibilità di andare incontro alle coppie che per motivi biologici non possono avere figli e che, oltre ad affrontare il dolore di una genitorialità mancata, si trovano a dover fare i conti con un iter di adozione nazionale impervio e definito dalla maggior parte di loro impossibile.
Per essere madre o padre non basta mettere al mondo un figlio, bisogna avere la vocazione all’accoglienza. Ricordiamoci che quello della genitorialità (intesa nel senso tradizionale del termine) non è l’unico percorso di vita degno di essere vissuto. Si può essere genitori prendendosi cura degli altri a prescindere dal contesto: siamo chiamati ad essere genitori nelle scuole, nelle onlus, negli ospedali, sul lavoro e in tanti altri modi possibili e inimmaginabili. Basta lasciarsi guidare dall’amore.
Marzia Furlan