Non sono soltanto le ragazze a manifestare contro il regime della Repubblica Islamica d’Iran. Le proteste ora coinvolgono anche i lavoratori e gli esercenti di attività commerciali. Con gli scioperi si può bloccare il Paese
Le proteste di piazza a Teheran e in altre città iraniane procedono da tre mesi circa a questa parte, praticamente ininterrotte, dopo che lo scorso 13 settembre la 22enne Mahsa Amini, di origini curde, arrestata e picchiata dalla Polizia religiosa con l’accusa di non indossare correttamente lo hijab, è deceduta a causa delle bastonate in testa.
Anche se il rapporto medico seguito all’autopsia sul corpo della giovane ha certificato che la morte di Mahsa è da attribuirsi a una malattia, e non alle percosse, nessuna persona al mondo è disposta a credere a questa versione ufficiale, soprattutto dopo che i comandanti delle forze armate e i vertici della polizia hanno rinnovato la propria fedeltà alla Guida suprema Ali Khamenei mediante una dichiarazione congiunta, firmata pochi giorni dopo gli elogi ricevuti dall’Ayatollah per avere contenuto le proteste per Mahsa Amini.
Khamenei ha dichiarato alla nazione che i giovani che prendono parte alle manifestazioni “devono essere puniti affinché siano resi consapevoli dei fatti”. Come recita il proverbio, più di così si muore. Fatto sta che le proteste delle ragazze si sono allargate a un crescendo di categorie della società civile, come gli studenti maschi di università e licei e anche a molti lavoratori delle fabbriche, i quali nelle ultime settimane hanno proclamato diversi scioperi. L’80 per cento degli esercizi commerciali in Iran sta tirando giù la saracinesca e questo potrebbe portare a un blocco delle attività.
Quando le diverse parti della società civile si uniscono all’unisono in una più grande protesta, che non accenna a placarsi nonostante il terrore del regime, è segno che si possono cominciare a intravedere i segnali di una potenziale rivoluzione e comunque, le attuali manifestazioni di dissenso sono già configurabili come una sfida popolare contro la teocrazia. L’idea, infatti, è quella di rovesciare il regime, perché a forme di negoziato nessuno crede più.
All’inizio delle manifestazioni centinaia di giovani donne si sono tagliate i capelli in piazza (Mahsa era infatti stata accusata di avere delle ciocche che scappavano dal velo), ma ben presto poi ai cortei si sono uniti anche gli uomini, fino a coinvolgere un gran numero di studenti e studentesse, perfino minorenni, che stanno sfidando coraggiosamente la repressione di un regime che può arrivare ad essere così feroce dal non limitarsi a denunciare ed arrestare, perché, come sappiamo bene, nelle carceri iraniane diverse persone fermate per insurrezione, sebbene nella maggior parte pacifiche e inermi, muoiono di percosse e torture da macelleria con una certa facilità. Il pugno del regime iraniano è infatti tanto ferreo da non esitare a uccidere chiunque gli si opponga.
Non è quindi più solo una questione di maggiore libertà desiderata dalle giovani generazioni di potersi abbigliare e magari scambiarsi un bacio in pubblico senza subire violente punizioni, ma è tutta la società iraniana, ai vari livelli, che sembra non volerne più sapere delle costrizioni e delle ingiustizie imposte dal regime della Repubblica Islamica dell’Iran. Un sistema teocratico che non ha dato risposte concrete ai bisogni del Paese, né in termini di sviluppo economico e qualità della vita, né per la sua ottusità nel rifiutarsi di riconoscere la dignità femminile e maschile, nonché i diritti sociali per entrambi i generi.
Se a questo aggiungiamo, come dato di fatto, che le ricchezze del Paese sono totalmente nelle mani dell’establishment connesso al regime è chiaro che ormai la goccia ha fatto traboccare il vaso e il popolo non è più disposto a sentirsi inascoltato e maltrattato. La sfiducia degli iraniani, e soprattutto dei giovani, riguarda anche qualsiasi leader cosiddetto riformista, in quanto si è avuta prova in passato che quei politici non erano affatto diversi dagli altri.
Alla repressione nelle piazze, che ha già provocato oltre 300 altre uccisioni oltre a quella di Mahsa Amini, si aggiunge la propaganda martellante delle autorità per cui gli omicidi sarebbero un segnale che le proteste si stanno trasformando in un’insurrezione armata, mirata alla sirianizzazione dell’Iran e al sovvertimento dell’ordine pubblico.
In pratica si riscrive un copione già sperimentato, come altre volte in passato, per cui il governo di Teheran attribuisce ad agitatori esterni l’orchestrazione delle proteste e la loro escalation. Intanto, la magistratura emette le prime condanne a morte sul capo degli arrestati, accusati di gravi crimini per la sicurezza dello Stato. Se le condanne a morte verranno eseguite sarà per dare un segno che le esecuzioni sono considerate un deterrente per cercare di porre fine al dissenso e al governo iraniano, che rifiuta di mettere in discussione le fondamenta stesse dello Stato teocratico sorto dalla rivoluzione del 1979, non resterà che agire con sempre maggiore ferocia.
Intanto, nella comunità internazionale ed europea c’è preoccupazione.
“Qualcosa è cambiato in Iran”, ha dichiarato dal G20 di Bali il presidente francese Emmanuel Macron, che ha aggiunto: “Questa è una rivoluzione delle donne, dei giovani iraniani, che difendono valori universali come l’uguaglianza di genere. E’ importante elogiare il coraggio e la legittimità di questa lotta”.
Macron, nelle ultime settimane, ha incontrato diversi esponenti della dissidenza iraniana in esilio, sollevando le critiche di Teheran che ha accusato Parigi di tramare per la destabilizzazione del Paese. Il deterioramento delle relazioni appare perciò inevitabile, considerato che Parigi nella recente riunione del Consiglio dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) a Vienna ha anche votato per censurare l’Iran.
La risoluzione, firmata oltre che dalla Francia, anche da Stati Uniti, Regno Unito e Germania, è stata approvata da 26 dei 35 membri del Consiglio. Russia e Cina, invece, hanno votato contro; mentre altri cinque membri si sono astenuti.
La risoluzione approvata censura l’Iran per la sua incapacità di cooperare con gli ispettori delle Nazioni Unite sul suo programma nucleare, i quali hanno detto che le scorte di uranio dell’Iran sono ora 18 volte superiori al limite fissato dall’accordo sul nucleare del 2015.
L’ambasciatore di Mosca presso l’AIEA, Mikhail Ulyanov, ha scritto su Twitter che la risoluzione è “controproducente e inopportuna” ai fini del rilancio dei colloqui sull’accordo nucleare. E Mohsen Naziri Asl, ambasciatore iraniano presso l’AIEA, ha definito la risoluzione approvata una “mossa politica, non costruttiva e inappropriata”.
Ma non è tutto. Sono emerse anche le prove che l’Iran ha fornito alla Russia droni kamikaze per bombardare l’Ucraina. Tutti questi temi, sollevati da Macron, possono di fatto anche “dare la linea” all’Unione Europea nei confronti dell’Iran, perché il cruscotto europeo, su molti dossier strategici, è ormai nelle mani di Parigi.
- In quasi tre mesi di proteste in Iran dopo la morte di Mahsa Amini sono morte 327 persone. Gli arrestati sono 15mila: tra loro decine di minorenni e anche 51 giornalisti.
- 227 parlamentari hanno fatto un appello ai tribunali del Paese perché eseguano condanne molto severe contro i manifestanti.
- Una persona è stata condannata a morte e altre migliaia sono sotto processo, rischiando di fare la stessa fine.
DONNE, VITA, LIBERTA’: CE NE PARLA L’ARTISTA IRANIANA FARIBA KARIMI
Fariba Karimi, 40 anni, da tredici anni vive in Italia. E’ un’artista originaria di Tabriz, città a 600 chilometri a nord-ovest di Teheran. Dopo avere completato i suoi studi universitari in Iran, si è trasferita a Roma. Qui ha frequentato l’Accademia di Belle Arti. Pittrice e fotografa di grande sensibilità per il dettaglio e per le tematiche sociali è una delle tante persone iraniane costrette a trasferirsi all’estero per assaporare finalmente la libertà.
“Nell’anno in cui mi sono trasferita in Italia, il 2009 – ci spiega –, in Iran sono state uccise dal regime diverse decine di persone che manifestavano contro i brogli elettorali. Ancora peggio, nel 2019, il bilancio dei morti è salito a 1.500 per la brutalità del governo contro chi protestava per il rincaro dei carburanti. Io sono un’artista e non avrei potuto rimanere in un Paese che non rispetta la libertà d’espressione. Anche se lasciare la mia terra non è stato facile, ho dovuto prendere quella decisione come tantissimi altri iraniani”.
Durante un suo viaggio in Iran anche a Fariba successe d’imbattersi nei Pasdaran ed essere arrestata dalla Polizia religiosa per un cappotto giudicato troppo corto. Ora Fariba, che partecipa da Roma alla campagna “Donne, vita, libertà” con numerose iniziative pubbliche, vuole chiedere agli italiani di rispettare la lotta del suo popolo contro l’oppressione, ma non solo con parole generiche di solidarietà, bensì con una presa di posizione chiara contro il regime degli Ayatollah: “Vorrei che il nuovo governo italiano si pronunciasse – chiarisce Fariba – come ha fatto Macron in Francia e prima di lui Trudeau in Canada”.
Il Canada, infatti, ha deciso di vietare l’ingresso nel Paese a 10mila funzionari iraniani in risposta alla repressione violenta delle proteste da parte di Teheran. La decisione è stata annunciata dal premier Justin Trudeau che non ha esitato a definire omicida il regime iraniano. Il divieto d’ingresso ai funzionari iraniani è a vita. Si tratta di una misura che è stata utilizzata dal governo canadese solo nelle circostanze più gravi, contro regimi che hanno commesso crimini di guerra o genocidi, come in Bosnia e Ruanda.
Intanto in Iran, dove oltre il 60 per cento della popolazione ha meno di 35 anni e la percentuale di laureati è fra le più alte al mondo, è stato messo il bavaglio a Internet, bloccando l’accesso a WhatsApp e Instagram, mentre da anni la stessa cosa era già stata fatta per Twitter, Facebook e YouTube.
“Gli iraniani, però, – dice Fariba – si sono riversati sulle VPN, che sono reti virtuali in grado di reindirizzare e cifrare il traffico online su server sparsi nel mondo. Una scelta che in molti casi permette di ripristinare le comunicazioni tramite App e siti web messi al bando dalle restrizioni governative. Gli iraniani sono stufi degli slanci di speranza, a cui sono sempre seguite rovinose cadute. Non credono più nel riformismo del movimento verde e tanto meno nel governo viola dell’ex presidente Rouhani, sotto il cui regime repressivo hanno perso la vita 1.500 persone. Gli iraniani non devono più aspettare un leader per fare la rivoluzione”.
Ci raggiunge intanto la notizia che a Roma, per svegliare le coscienze e soprattutto per dare voce alle proteste in Iran, il Partito Radicale Nonviolento, Transnazionale e Transpartito promuove una marcia per il prossimo sabato 10 dicembre e Irene Testa, la tesoriera del Partito, ha già iniziato lo sciopero della fame.
DANIELA BLU