La differenza fra l’Italia e la Spagna sotto il profilo dei governi che hanno prodotto

La Spagna esattamente cinque anni fa inaugurava la formula innovativa di un governo fra un partito storico della sinistra istituzionale e un movimento nato dal basso, uscito fuori dalla contestazione nei confronti dei cosiddetti “vecchi partiti”. Si sta parlando ovviamente del governo Sanchez II fra il Psoe, guidato dallo stesso presidente spagnolo e Unidos Podemos, guidato da Pablo Iglesias. Questo a differenza di quanto raggiunto in Italia dove si è arrivati al governo Pd-5Stelle solo dopo che il Pd ha spinto la forza “anti-sistema” nelle accoglienti braccia di Salvini e solo dopo che lo stesso facendo cadere il governo minacciasse di far tornare il paese alle elezioni con una preannunciata vittoria del centro-destra a trazione Lega.

Quando questo governo spagnolo si era insediato le sue prospettive non erano certo rosee. Il primo governo di coalizione della Spagna post-franchista si fondava su una fragile alleanza tra le forze del centro-sinistra rappresentate dal Partito Socialista, la sinistra radicale di Podemos, e tra partiti indipendentisti d’orientamento progressista.

Fonte: Ambasciata d’Italia Madrid – Ministero degli Esteri

Una coalizione eclettica, figlia di un’arena politica sempre più frammentata. Eppure, il governo Sanchez è rimasto per un certo tempo in buona salute, forse anche grazie all’emergenza Covid che, come in altri paesi, ha reso una crisi di governo meno appetibile. Ci fu un importante snodo in cui l’esecutivo vinse, con un conteggio di 298 a 52, un voto di sfiducia proposto da Santiago Abascal, leader di Vox, partito di estrema destra erede della tradizione franchista.

Non è fuori luogo il paragone con l’Italia, dove si era realizzata una coalizione tra un partito “establishment” di centro-sinistra, il PD, e un partito “anti-etablishment” dalle delicate note populiste. Si potrebbe pensare a Pedro Sanchez come a un Zingaretti (per citare il segretario del Pd dell’epoca) con un po’ più di carisma e di capelli. E a Pablo Iglesias, leader di Podemos, come a un Di Maio più istruito (lo spagnolo ha un dottorato in scienze politiche, Di Maio il diploma di liceo classico).

Ma a differenza del governo giallorosso, l’esecutivo spagnolo non si limitava a tirare a campare. Sanchez e Iglesias erano riusciti a presentare un’ambiziosa manovra finanziaria che si proponeva di aumentare gli introiti dello stato alzando le imposte per i redditi più alti e tassando i dividendi delle grandi società, risultati significativi che sono stati almeno parzialmente raggiunti. Una riforma, insomma, con un forte elemento di progressività, il cui fine dichiarato era esattamente garantire che i più abbienti versino di più all’erario pubblico. Secondo Iglesias, la manovra avrebbe dovuto abolire definitivamente la politica del “neoliberalismo e dei tagli alle spese”.

Senza dubbio le azioni del leader di Podemos hanno avuto più successo e risultati pratici di chi, in altri tempi e in altri luoghi, ovvero ancora durante il governo giallo-verde aveva trionfalmente annunciato l’abolizione della povertà.

Alberto Fioretti

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