Viviamo in una società sempre più perversa che ha fatto dell’apatia e della meschinità il mezzo per nascondere le proprie debolezze
Roma, una città sempre più violenta. A dirlo non sono più solo le statistiche, ma anche i tragici fatti degli ultimi giorni. Dopo il caso del serial killer di Prati, un altro fatto di sangue ha visto per teatro la Capitale. Domenica 11 dicembre, infatti, un uomo, Claudio Campiti, ha ucciso quattro persone nel corso di una riunione di condominio a Colle Salario, alle porte di Roma.
L’uomo, un cinquantasettenne, si è presentato alla riunione del consorzio di cui era socio intorno alle 11 e ha aperto il fuoco contro i presenti. Secondo i testimoni, avrebbe fatto irruzione nel gazebo del bar Cirulli, luogo dove periodicamente si svolgevano le riunioni del condominio, e avrebbe cominciato a sparare, farneticando minacce senza senso. Campiti è poi stato bloccato dagli altri soci, che lo hanno disarmato e che hanno avvertito le forze dell’ordine.
Dalle ricostruzioni degli inquirenti, sembra che l’uomo abbia sparato con una glock calibro 9, sottratta quella stessa mattina al poligono di tiro di via Tor di Quinto e su cui adesso sta indagando la Procura. Per i magistrati, che lo hanno interrogato in carcere, il killer aveva premeditato tutto. A casa sua, un villino fatiscente sopra le colline di Ascrea, in provincia di Rieti, i Carabinieri hanno difatti rinvenuto in uno zaino vestiti, soldi e documenti validi per l’espatrio.
Attualmente Campiti è in custodia cautelare presso il carcere di Regina Coeli e non ha risposto alle domande del Gip. Al contrario, non sembra per niente pentito del suo gesto. Del resto, la sua vita era già finita da tempo, solo che nessuno se ne era accorto. La tragedia di quest’uomo è iniziata dieci anni fa, con la morte del figlio quattordicenne in un incidente sciistico. Da lì in poi, il comportamento di Campiti è cambiato e a farne le spese è stato il consorzio Valleverde.
Sempre più solo e abbandonato da tutti, egli ha iniziato a manifestare i segni di un vero e proprio “delirio psicotico”. Costantemente dal suo blog, “Benvenuti all’Inferno”, accusava il consorzio di soprusi a suo danno e minacciava gli altri soci.
Aveva finanche stilato una lista dei suoi cosiddetti persecutori. Persone che, a suo dire, non gli consentivano di abitare nel suo appartamento e verso cui era in mora per il pagamento delle spese condominiali. Dalla presidente del consorzio (una delle sue vittime) ai tecnici del comune fino ad arrivare ai sindaci e al prefetto erano tutti colpevoli della sua situazione. Una pretesa questa che non teneva conto delle reali condizioni del fabbricato, ancora in costruzione e inabitabile, ma che per Campiti era diventata l’unica ragione di vita. Un motivo che lo aveva indotto, solo pochi mesi fa, a richiedere il porto d’armi, ovviamente negato dalle autorità di Rieti a causa del suo profilo instabile e violento.
Tuttavia, questo non è bastato a farlo desistere dai suoi propositi, avendo egli comunque trovato il modo di reperire un’arma per i suoi fini. Un fatto, quest’ultimo, che dovrebbe allarmarci per quello che sta diventando la sicurezza nel nostro Paese. Se, infatti, negli USA è facile procurarsi un’arma per via di una legge costituzionale molto permissiva sul tema, è oltremodo inconcepibile che da noi ciò avvenga a causa della negligenza di chi è deputato a tali controlli.
Doppiamente colpevole, quindi, in questa vicenda è il poligono di tiro di Tor di Quinto, che non ha correttamente vigilato sull’uso della pistola presa in consegna. Ugualmente responsabili di questo massacro sono, inoltre, le istituzioni.
Viviamo, infatti, in una società sempre più perversa, che gode delle sofferenze altrui e che ha fatto dell’apatia e della meschinità il mezzo per nascondere le proprie debolezze. Campiti non era un mostro, ma lo è diventato per il disagio patito da molte persone abbandonate a sé stesse. Disagio che si somma al degrado in cui versano buona parte delle periferie della città.
In tal senso, è illuminante la testimonianza del signor Giovanni, proprietario del bar in cui è avvenuta la strage. Nel descrivere lo sconcerto del quartiere innanzi a tale episodio, ha altresì rappresentato la crisi vissuta dalla zona negli ultimi anni, fra negozi che chiudono e cinghiali che scorrazzano per le vie.
Una situazione esplosiva, che la politica continua ad ignorare, sfoderando tutta la propria indifferenza verso tragedie che stanno lentamente trasformando Roma in un “Far West urbano”.
Gianmarco Pucci
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