Era da più di un anno che il tema dell’ordine pubblico non tornava al centro del dibattito politico. Ad ottobre del 2021, a scaldare gli animi, fu l’assalto alla sede romana della CGIL da parte dei militanti del partito neofascista di Forza Nuova. Pomo della discordia, in quel frangente, fu la protesta, da parte di esponenti del movimento No Vax, contro il Green Pass, il quale ha permesso agli squadristi di Roberto Fiore di infiltrarsi nella manifestazione, seminando caos e disordini.
Oggi, invero, la situazione è latamente più esplosiva. Gli scontri avvenuti sabato a Roma, fra forze dell’ordine e anarchici, sono un innegabile sintomo di un malessere sociale diffuso che, ormai, trova nella violenza il proprio minimo comune denominatore. A dare fuoco alle polveri, risvegliando la galassia insurrezionalista, è stata la vicenda di Alfredo Cospito, esponente di spicco del movimento anarchico, il quale da mesi è in sciopero della fame presso il carcere di massima sicurezza di Opera.
Cospito, che è stato condannato in via definitiva per aver gambizzato un dirigente dell’Ansaldo, avrebbe da mesi elaborato una peculiare strategia della tensione, al fine di ottenere la revoca del regime detentivo speciale del 41 bis. Tale misura gli era stata applicata in seguito alla scoperta di messaggi in codice, veicolati dal carcere attraverso riviste anarchiche, ai suoi compagni di lotta, per proseguire la guerra contro lo “Stato borghese e capitalista”. Da qui gli attentati che, negli scorsi mesi, hanno coinvolto le sedi diplomatiche italiane di Bercellona e Berlino. Attacchi che sono stati prontamente rivendicati dai sodali di Cospito, attraverso lettere minatorie inviate alle redazioni del Tirreno e del Resto del Carlino.
Un modus operandi che ricorda molto quello in voga negli “Anni di Piombo” e in cui gli anarchici hanno avuto un ruolo affatto trascurabile. Fu, infatti, all’indomani della morte di uno di loro, Giuseppe Pinelli, che in Italia si intensificò l’azione terroristica dei gruppi eversivi di destra e sinistra. Per certi versi, l’opera destabilizzante degli anarchici è da sempre preludio a una possibile deriva sanguinaria dello scontro politico. Tuttavia, a causa anche del tramonto delle grandi ideologie novecentesche, oggi non è più replicabile un simile scenario. Al contrario, è molto più probabile che altri potrebbero avere interesse a celarsi dietro costoro per ricattare lo Stato.
Dalle comunicazioni intercettate in carcere, gli inquirenti hanno appreso dell’esistenza di un sodalizio fra Cospito e alcuni boss mafiosi, finalizzato ad ottenere la revoca del 41 bis. Ciò, non per caso, avviene proprio all’indomani dell’arresto di Matteo Messina Denaro e del vuoto di potere creatosi in seno a Cosa Nostra. La ricerca di nuovi equilibri nella Cupola spiegherebbe, infatti, le ragioni di questa inedita recrudescenza eversiva, la quale tenderebbe, ancora una volta, a intavolare una trattativa con lo Stato, spargendo il terrore.
Al riguardo, però, la risposta del governo è parsa fragile e inadeguata. Predicare “legge e ordine”, scivolando irrimediabilmente nella retorica si presta, specularmente, ad esasperare il conflitto in atto, favorendo l’affermarsi dell’imperativo “dividi et impera”. In tal senso, gli interventi degli esponenti della maggioranza sulla questione, sembrano aver riprodotto, in questi giorni, tale schema di condotta. Accusare, nel bel mezzo di un dibattito in Assemblea, come ha fatto Donzelli, l’opposizione di complicità con la mafia, rivelando pubblicamente atti d’ufficio, è stato, oltre che controproducente, gravemente lesivo del prestigio del Parlamento. Se poi, come è stato accertato, tali carte sono state fornite dal Ministero della Giustizia, nella persona del sottosegretario Del Mastro, tale modo di procedere è ancora più discutibile.
Usare, a proprio uso e consumo, le Istituzioni per fare propaganda politica rischia di fornire validi motivi a chi vorrebbe sovvertire le basi dell’ordinamento democratico. Specialmente quando certe informazioni non vengono trattate con perizia eD attenzione. Donzelli e Del Mastro, che per le loro esternazioni sono adesso sotto scorta, dovrebbero, infatti, sapere che le visite ai detenuti rientrano fra le prerogative dei parlamentari e che non si può convocare una giuria sulla base di accuse meramente pretestuose. Dovrebbero anche sapere che sulla concessione (o la revoca) del 41 bis decide il Ministro della Giustizia, su indicazione della Procura Nazionale Antimafia e che, pertanto, interventi a gamba tesa di questo tipo, oltre che scarsamente rispettosi dell’equilibrio fra poteri, potrebbero nel lungo periodo minare la credibilità dell’esecutivo.
Nondimeno, tale comportamento rischia di pregiudicare il cammino delle riforme. In proposito, Giorgia Meloni ha detto recentemente che il 2023 sarà un anno ricco di novità. L’intento è più che lodevole, ma bisogna attenersi ai fatti. Sull’economia, il governo ha fatto poco e quel poco che si è visto , per contrastare la povertà e agganciare la ripresa, è un lascito dell’esecutivo precedente. Sul fronte della giustizia, la linea di Nordio sembra particolarmente ondivaga, oscillando fra il mantenimento della riforma Cartabia e il suo definitivo superamento.
Vero banco di prova sembra, invece, essere diventata la riforma presidenziale dell’Italia. Una prospettiva caldeggiata da tutta la maggioranza, ma che potrebbe riservare, se non opportunamente vagliata, amare sorprese. In particolar modo, se dovessero ripetersi eventi come quelli della scorsa settimana, di per sé idonei a dimostrare che in Parlamento c’è gente capace solo di aprire bocca per darvi fiato.
Gianmarco Pucci