Di Maio ha interpretato tutte le stagioni del Movimento, e di quelle stagioni ne è stato il massimo interprete, saltando da una contraddizione all’altra
È stato descritto come terremoto politico all’interno della maggioranza, indicato come la morte definitiva del Movimento 5 Stelle, almeno la ventesima secondo i detrattori.
Eppure, c’è qualcosa che stupisce ma non fa notizia. La scissione del Movimento rafforza e polarizza il voto presso un elettorato sempre più disincantato, concreto e maturo.
Di Maio ha interpretato tutte le stagioni del Movimento, e di quelle stagioni ne è stato il massimo interprete, saltando da una contraddizione all’altra. Regole interne infrante, agende e posizioni politiche ribaltate. È stato di tutto e di più. Si è nutrito dell’uno vale uno fino ad ingozzarsi e diventare quel qualcuno che oggi, al termine del secondo e ultimo mandato, sputa nel piatto in cui ha mangiato, e guardando quel piatto ha voluto decidere se fare la scarpetta o fare le scarpe.
Gigi acchiappa tutto: vicepresidente della Camera, Vicepremier, Ministro allo Sviluppo Economico, Ministro degli Esteri, capo politico.
Sarebbe ripetitivo ed inutile ripercorrere la storia, dalle posizioni antieuro alle iniziative a favore dei gilet gialli, passando dal multilateralismo all’atlantismo senza se e senza ma.
La storia la conosciamo tutti, la conosce anche Di Maio, che apostrofato come il “bibitaro” dal mondo dell’informazione, si allinea alle posizioni di comodo ed inizia a far parte di quel mondo che avrebbe dovuto combattere ed invece lo ha conquistato, sedotto, fatto suo. Così spariscono i meme, gli sfottò, gli epiteti, e magicamente Luigi Di Maio diventa statista, uomo delle istituzioni, come e più di omologhi della politica tradizionale a cui si appoggia, e con cui costruirà il suo nuovo percorso politico.
Così la metamorfosi è completa, ed è un bene per il Movimento, lo è anche per il Paese. Un Movimento nato da intuizioni formidabili, futuristiche, si è scontrato nel tempo con utopie e contraddizioni. Grandi visioni che hanno trascinato e aggregato, canalizzato anche tanta protesta, spesso legittima, e poco rappresenta, multiforme, sfuggente.
Nel famoso percorso di maturazione, allontanate le scie chimiche, buttati fuori i terrapiattisti, ora a Conte rimane il nocciolo duro di un Movimento che non ha tradito due assi fondanti della sua inerzia politica: la legalità ed il vincolo del secondo mandato, per conservare l’idea di una politica capace di rinnovarsi in maniera etica e responsabile.
Toccherà a Giuseppe Conte aggregare parte della società civile intorno ad un rinnovato progetto politico che ritorni ad essere anti sistema ma con maturità e consapevolezza, che irrompa nel ripristinato bipolarismo, ma che lo faccia senza bava alla bocca di nomine e poltrone, ma con idee, progetti e profili da formare e lanciare in una politica che, al di là del parere personale, ha bisogno di stimoli esterni per non cadere nel narcisismo e nell’autoreferenzialità in cui oggi Luigi Di Maio si è confinato.
Alberto Siculella
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Foto di copertina : Corriere della Sera