Il Ministro Calderoli intende ridefinire le autonomie delle regioni, proprio uno che con leggi e riforme non ha mostrato un grande feeling
Un film già visto. Dai tempi del secessionismo camuffato prima in federalismo, poi in patriottismo, la riforma delle autonomie differenziate sembra essere arrivata al momento della svolta.
Il Ministro Calderoli intende ridefinire le autonomie delle regioni, proprio uno che con leggi e riforme non ha mostrato un grande feeling. Nel 2006 fu lo stesso Calderoli, durante la trasmissione Matrix, ad ammettere candidamente che la sua legge elettorale fosse una porcata. Da quel momento i media la ribattezzarono “porcellum”.
Leggi fondamentali per lo Stato, e per il suo funzionamento, che passano dalla consapevolezza di averle fatte male. Stessa consapevolezza che inizia a crescere nel Paese quando, invece di una sterile polemica, si va ad analizzare la proposta dell’attuale Ministro per gli Affari Regionali.
Facciamolo insieme.
La riforma costituzionale del 2001 offre, alle regioni a statuto ordinario, la possibilità di richiedere allo Stato competenza esclusiva su 23 materie. Tra queste anche quelle delicatissime come sanità, ambiente, energia. Nella fattispecie i modi per richiedere tali autonomie restano molteplici e rischiano di generare confusione su materie e modalità di richiesta.
Un disegno di legge fortemente voluto dal Governatore del Veneto, Luca Zaia, interverrebbe sulla questione, ed il suo compagno di partito, il Ministro Calderoli, è intenzionato a portare avanti una bozza sulla quale si stanno sollevando molte polemiche. Perché?
- Non si specifica la modalità con cui lo Stato riconosce l’autonomia alla Regione, lasciando spazio ai singoli statuti regionali, mentre dovrebbero esserci degli standard procedurali per cui lo Stato esamini ed approvi l’autonomia.
- Al Parlamento resterebbe un ruolo marginale, ovvero quella di approvare o respingere l’intesa Stato-Regione senza proporre modifiche.
- Non sono richieste garanzie particolari. Perciò se su una materia specifica, se la Regione non ha conti in ordine, o addirittura è stata commissariata per infiltrazioni mafiose, potrà comunque avanzare la richiesta. Immaginate perciò la sanità calabrese, commissariata e con i conti in rosso, che diventi esclusiva competenza dello stesso ente che non l’ha saputa gestire.
- I LEP (livelli essenziali di prestazione) devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale e per Costituzione devono offrire parità di “diritti sociali e civili”, al momento non sono stati stabiliti da alcun organo e soprattutto occorrerebbe che tale organo fosse tecnico e non politico, per garantire una stesura standard di criteri e somme da erogare alle singole regioni. Proprio la mancanza di questo processo tiene in vita la spesa storica, un meccanismo sulla cui base si fonda il principio che regioni più ricche che hanno finanziariamente più capacità di spesa, potranno vedersi riconosciuti importi cospicui, mentre le regioni storicamente più deboli continueranno su un trend negativo, senza un meccanismo di ridistribuzione progressivo e settoriale per cercare di colmare il gap.
- Il residuo fiscale, invece, richiamato nel disegno di legge, ammicca alla possibilità di trattenere flussi finanziari dovuti ad un gettito fiscale maggiore. Procedimento questo che senza un graduale controllo ed una ridistribuzione di investimenti infrastrutturali e logistici da parte dello Stato, interverrebbero a determinare un’ulteriore frattura tra nord e sud. Soprattutto in virtù di uno spopolamento ed una desertificazione economico-imprenditoriale del meridione che emigra e produce ricchezza e valore aggiunto in regioni del nord, dove gli investimenti statali hanno supportato ambiti industriali e produttivi di valore strategico per l’intero Paese.
Nella speranza di non dover assistere al sequel.
Alberto Siculella