Un palazzo, sempre più tempio di una politica inconcludente, in cui l’esercizio del potere è prerogativa di pochi eletti e guarda agli elettori come ai figli di un dio diventato improvvisamente minore
Archiviata la fase della formazione delle liste, la campagna elettorale per le politiche entra finalmente nel vivo della questione. Se, infatti, fino ad adesso si è parlato solo di nomi e di alleanze, ora i partiti saranno costretti a confrontarsi sui programmi. Programmi che, tuttavia, continuano a latitare in questa insolita tornata elettorale estiva.
Lo dimostra il fatto che, a più di un mese dallo scioglimento delle Camere, il dibattito in corso non solo non appassiona gli italiani, ma si rivela oltremodo monotono, sterile e privo di smalto. Per dirla con le parole di Antonio Martino sembra quasi che la politica italiana sia condannata a un inarrestabile declino, nel quale ogni legislatura che segue è necessariamente peggiore di quella che l’ha preceduta. Tale tendenza, che ormai è sotto gli occhi di tutti, certamente non giova al benessere della nostra democrazia.
Ne è una prova il metodo adottato dai partiti per selezionare le candidature. In assenza di una vera legge elettorale, che permetta al popolo di riappropriarsi del proprio diritto di scegliere i suoi rappresentanti, abbiamo assistito per settimane ad un autentico “assalto alla diligenza” per accaparrarsi un seggio sicuro in Parlamento.
Complice, poi, la truffaldina legge di riduzione del numero dei parlamentari, si è materializzata la più grave distorsione della rappresentanza degli ultimi settant’anni. Distorsione che non ha favorito il rinnovamento della classe dirigente, ma che al contrario ha prodotto l’effetto opposto di preservare lo status quo. Da qui il proliferare nelle liste elettorali di volti noti e vecchie glorie della politica. Ciò a discapito di nomi ben più meritevoli e che in questa tornata rischiano di veder banalizzato il proprio impegno.
Paradigmatico, in tal senso, il caso di Pier Ferdinando Casini, in Parlamento dal 1983 e candidato dal PD nel sicuro seggio senatoriale di Bologna. A seguire le ricandidature di Umberto Bossi per la Lega (in Parlamento dal 1987), di Giulio Tremonti per FDI e di Dorina Bianchi per + Europa in Calabria. Si è, inoltre, assistito al risorgere del familismo come non accadeva dai tempi dei Borgia e dei Medici.
Oltre alla favorita di Berlusconi, Marta Fascina, candidata nel seggio blindato di Napoli, sono numerose le mogli dei leader candidate in tali collegi: Michela Di Biase, moglie di Dario Franceschini, candidata nel listino bloccato di Roma, grazie al suo rapporto di coniuge con il Ministro della Cultura, candidato a sua volta a Napoli per il Senato. Abbiamo la moglie di Fratoianni, candidata in Umbria che rivendica, a chi l’accusa di aver fatto carriera all’ombra del marito, i propri successi sul campo contro il maschilismo insito nella società italiana.
Non solo mogli, comunque, ma anche nipoti e fratelli. Tipico è il caso di Davide Buffagni, fratello dell’ex viceministro cinquestelle Stefano, candidato in Lombardia per il partito di Conte, ovvero ancora Giovanni Crosetto, nipote di Guido, candidato da FDI in Piemonte.
Infine, al netto di queste candidature calate dall’alto, totalmente svicolate dal rapporto fra eletto ed elettore (vedi la Casellati del Veneto candidata in Basilicata per FI e la toscana Maria Elena Boschi candidata per il Terzo Polo in Calabria), ci sono le candidature “mediatiche”. In primo luogo, quelle dei virologi, che la Pandemia ha reso delle autentiche star del piccolo schermo e che hanno approfittato della notorietà per cambiare mestiere. Da Crisanti a Lo Palco è un tripudio di scienziati prestati alla politica.
Chiudono il cerchio le donne dello star system: Rita Dalla Chiesa, candidata per FI in Puglia al Senato; Ilaria Cucchi, candidata alla Camera per Sinistra Italiana a Roma; l’ex Vice Questore di Roma No Green Pass, Nunzia Schilirò, candidata in Sicilia per Italexit.
Non si può, dunque, non osservare come lentamente la nostra democrazia, consacrata dalla Costituzione del 1948, si stia trasformando in una vera e propria oligarchia. Essa, infatti, prosperando nel caos, finisce per fornire pretesto a quanti ritengono il Parlamento un osceno teatrino, deputato ad ospitare un modesto bivacco in un’aula grigia e sorda.
Un palazzo, sempre più tempio di una politica inconcludente, in cui l’esercizio del potere è prerogativa di pochi eletti e che nella sua impassibilità guarda agli elettori come ai figli di un dio diventato improvvisamente minore.
Gianmarco Pucci