Quel mondo fatuo e immaginifico intorno agli anni Venti del secolo scorso, è la storia che il regista Damien Chazelle ha voluto raccontare in Babylon
L’epopea di Hollywood, il mito del cinema muto, del bianco e nero, dei divi e delle loro vite sregolate, della nascita dei grandi Studios e delle produzioni faraoniche. Insomma quel mondo fatuo e immaginifico che si è andato sviluppando a Los Angeles intorno agli anni venti del secolo scorso, è la storia che il regista Damien Chazelle ha voluto raccontare in Babylon, sontuoso progetto cinematografico che non ha caso prende il nome dal volume di Kenneth Anger Hollywood Babylon.
“È una macchina vorace che ti mastica e poi ti sputa fuori, non importa se sei al top o in fondo. Funziona come un livellatore.” Afferma lo stesso Chazelle smontando e rimontando con abilità la leggenda che poi racconta nel suo film.
La pellicola inizia con un improbabile camioncino con il quale Manuel Torres, un immigrato messicano, deve trasportare un elefante da esibire alla faraonica festa sulla collina di Bell Air nella villa di un dirigente della Kinoscope Studios, ai margini di una Los Angeles che deve ancora nascere. La sproporzione tra le dimensioni dell’animale ed il piccolo mezzo meccanico aprono alla metafora tra la vita reale e quella irreale che sovrasta quell’angolo di California. Ciò che accade all’interno della villa è un vero e proprio baccanale, un’orgia di sesso e droga, di cibo e alcol, di musica e danze sfrenate.
Manuel è lì anche per controllare gli invitati, tuttavia non riesce a fermare Nellie Le Roy, una sfacciata e sedicente attricetta del New Jersey che cerca di imbucarsi. Nulla può perché la ragazza è talmente bella che se ne invaghisce appena la vede. La festa va avanti senza alcun limite e ad un tratto al buon Manuel viene detto di introdurre l’elefante nella sala.
Doveva essere solo una specie di coup de theatre, ma alla fine serve soprattutto a distrarre gli invitati e far uscire, senza troppo clamore, la giovane attrice Jane Thornton in fin di vita per un over dose di cocaina. La ragazza, che avrebbe dovuto essere sul set la mattina seguente, viene subito sostituita da Nellie che nel frattempo si è fatta notare dai produttori presenti, oltre che per la sua bellezza anche per il modo di ballare provocante e disinibito.
Alla festa-orgia partecipano anche Jack Conrad gentile, ma donnaiolo e alcolista divo del cinema e la cantante lesbica sino-americana di cabaret Lady Fay Zhu, oltre al trombettista Jazz afroamericano Sidney Palmer. A notte fonda Manuel accompagna a casa Conrad ormai ubriaco e incapace di gestirsi autonomamente.
Questo segnerà l’inizio di una nuova vita per il giovane che in poco tempo riuscirà a farsi apprezzare dai capi delle Major. Rinnega le origini messicane definendosi spagnolo, modifica il suo nome in Manny e si adatta abilmente ai cambiamenti, fino a diventare un produttore cinematografico di successo. Anche Nellie diventa rapidamente una star, seguita dalla giornalista di gossip Elinor St. John, che segue anche la carriera di Jack Conrad.
Il film prosegue con una serie di colpi di scena che mettono sempre più in evidenza la dissolutezza di quegli anni e il potere assoluto degli studios sugli attori. Siamo ora nel 1927, il sonoro inzia a soppiantare il cinema muto e molti divi entrano in crisi.
Troppo difficile per le star del muto adattarsi alla nuova tecnologia, troppo diverso il modo di recitare. Di fatto per quasi tutti è la fine di un’epoca. Jack Conrad cercherà resistere accettando ruoli in film di serie B, ma alla fine dovrà capitolare. Anche Nellie non ce la farà e si perderà tra debiti di gioco ed eccessi di alcol e droghe. E che fine ha fatto Manny? Innamorato fin dal primo momento di Nellie cercherà di aiutarla in tutti i modi, anche a rischio della propria vita, ma sarà un’impresa inutile, alla fine costretto, a lasciare Los Angeles, si rifugerà in Messico.
Quando nel 1952, sposato e papà di una bimba, tornerà in California troverà un mondo ovviamente diverso e resterà stupito nel raccontare alla moglie e alla figlia che una volta quel luogo era il suo mondo. Poi si reca da solo in un cinema vicino che proietta Cantando sotto la pioggia, film che segna la rappresentazione del passaggio dell’industria dal cinema muto a quello parlato e qui non potrà fare a meno di commuoversi. Manny, interpretato egregiamente dall’attore messicano Diego Calva, è un po’ il nocchiero di questo viaggio. Disincantato fin da subito, pur se ad un tratto sembra lasciarsi trasportare dagli eventi, in realtà è il solo che riesce a vedere lucidamente ciò che accade intorno a lui, ed per questo che alla fine sarà l’unico a sopravvivere.
Non vogliamo spoilerare troppo il film, diciamo che il finale rispecchia in modo lineare il mix di eccessi di quell’epoca e la nostalgia per il tempo andato. Brad Pit è uno straordinario Jack Conrad, molto vicino sia nei modi che nell’aspetto a Clark Gable, emblema assoluto di quel mondo. Bravissima e bellissima Margot Robbie nei panni di Nellie, diva talentuosa e senza futuro, killer di sé stessa.
Al top costumi e scenografia così come la musica, tutti candidati al premio Oscar.
Lello Mingione