Guardando ai risultati, poteva andare meglio. In una battuta, si potrebbe riassumere così il risultato riportato dalle forze politiche in questo primo turno delle elezioni amministrative
Guardando ai risultati, poteva andare meglio. In una battuta, si potrebbe riassumere così il risultato riportato dalle forze politiche in questo primo turno delle elezioni amministrative. Elezioni che si sono svolte all’insegna di un’insolita calura estiva, quasi ferragostana, che non ha certamente incentivato gli elettori, già sfiduciati dalla monotona retorica della chiacchiera, a recarsi ai seggi per votare questo o quel partito. Una scelta che, dispiace dirlo, ha compromesso anche il referendum sulla giustizia voluto dalla Lega e dai radicali.
A fronte, infatti, di un’astensione record (più del 50%), la percentuale di chi ha votato per riformare, in chiave eminentemente migliorativa, la giustizia, si è fermato a uno striminzito 20%. Evidentemente, i quesiti non hanno attirato gli italiani o, più probabilmente, chi lo ha sponsorizzato non è stato ritenuto credibile dall’opinione pubblica. Cosicché, adesso toccherà al Parlamento legiferare in merito a una riforma che vedrà nei prossimi mesi la luce.
Una riforma che, nascendo da un compromesso fra forze politiche molto eterogenee, rischia di scontentare un po’ tutti, lasciando dietro di sé parecchia amarezza. Soprattutto, di quegli italiani che hanno patito sopra la loro pelle i torti della giustizia malsana e che nel referendum vedevano uno strumento per sovvertire un sistema chiuso, arbitrario e iniquo. Invece, come è ormai noto, il verdetto degli italiani, di per sé indifferente verso siffatta questione, si è espresso in una direzione diametralmente opposta.
Una direzione che, sul piano politico, ha rappresentato un’ulteriore sconfitta per Matteo Salvini. Ormai, il “capitano” non ne azzecca più una. Ovunque ci mette la faccia, riceve un sonoro calcio dagli elettori. Una mediocrità che si è riverberata anche a livello amministrativo, dove la Lega ha dimezzato i propri consensi a favore di FDI. A Verona, ad esempio, dove l’ex sindaco leghista, Flavio Tosi, con l’appoggio di Forza Italia, ha eguagliato il risultato del candidato della Lega e di FDI, Federico Sboarina. Divisione che il centrodestra conta di colmare al secondo turno, impedendo al candidato del PD, l’ex calciatore Damiano Tommasi, di vincere nella città scaligera.
Per il resto, il centrodestra, laddove si è candidato unito, ha registrato buoni risultati. A Genova, dove il sindaco uscente Bucci dovrebbe essere riconfermato al primo turno. Idem a Palermo, dove la vittoria di Roberto Lagalla sembra in procinto di chiudere la lunga stagione di Leoluca Orlando alla guida della città. Caso emblematico rappresenta, invece, Catanzaro. Nel capoluogo della Calabria, il centrodestra si presentava diviso, esprimendo ben tre candidati, ma la coalizione è sul punto di ricompattarsi per salvare, dopo il ventennio di Abramo, il governo della città. In tal senso, anche a Catanzaro il campo largo invocato da Letta e da Conte non pare aver arriso ai progressisti.
E nemmeno all’Aquila, dove la veterana del centrosinistra, Stefania Pezzopane dovrà rassegnarsi a riconsegnare il capoluogo abruzzese al sindaco uscente Biondi, dopo aver perso molti voti a favore del candidato di Calenda, Di Benedetto.
Unica consolazione, per il partito del Nazareno, resta Parma, dove il candidato del centrosinistra, Michele Guerra, è in vantaggio su quello del centrodestra, Pietro Vignali. Un risultato, quest’ultimo, certamente non scontato, se si pensa che proprio a Parma il PD fu scalzato via dal M5S nel 2012. Quello stesso M5S che oggi fa squadra con i democratici e che descrive un universo completamente diverso.
Un universo in cui i rapporti di forza, malgrado il virus dell’astensionismo mieta ancora vittime, sembrano essersi simmetricamente invertiti, ripristinando il bipolarismo tradizionale.
Gianmarco Pucci