Benjamin Netanyahu non si aspettava di trovarsi di fronte un Trump deciso a sacrificarlo per chiudere il conflitto nella Striscia. Trump, inoltre, ha minacciato con forza Hamas, promettendo di scatenare l’inferno in mancanza del rilascio degli ostaggi israeliani

Dopo 466 giorni da quell’orribile 7 ottobre del 2023, lo scorso 15 gennaio è giunto a maturazione l’accordo sulla tregua a Gaza che, a partire da domenica 19 gennaio 2025, ha previsto anche lo scambio tra ostaggi israeliani e prigionieri palestinesi. Nelle ore immediatamente successive alla diffusione della notizia non sono mancate le attribuzioni sul merito circa l’intesa (con Trump che si è preso la scena, intestando a sé stesso il successo dell’operazione), ma anche significativi distinguo e contrarietà innanzitutto da parte del primo ministro israeliano Netanyahu.

Donald Trump, come sappiamo, è stato veloce a postare sul suo social preferito Truth: “Abbiamo l’intesa, gli ostaggi saranno rilasciati presto”. Senza perdere un minuto di più l’emiro del Qatar, Tamim bin Hamad Al Thani, ha indetto una conferenza stampa a Doha, sede dei negoziati tra Israele e Hamas (alle trattative hanno partecipato anche gli egiziani). “Con l’approvazione di entrambe le parti del negoziato, proseguiranno i lavori per completare gli aspetti attuativi” ha chiarito Al Thani.

Fonte: ANSA

Nelle parole del ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa’ar, invece, lo stato d’animo con cui gli israeliani sono arrivati all’intesa, con il tempestoso incontro fra l’inviato di Trump per il Medio Oriente Steve Witkoff e lo stesso Netanyahu. All’opposto, da parte di Hamas la soddisfazione per essere stato riconosciuto come interlocutore, a cui è stato concesso anche del tempo per riorganizzarsi.

Fonte: ANSA

Resta indefinibile, al momento, il futuro e la ricostruzione di Gaza, nonché quella che sarà la sua governance politica. Si sa, però, che la carta migliore di Washington in Medio Oriente resta l’Arabia Saudita.

L’uomo chiave dietro all’accordo di tregua a Gaza è Steve Witkoff, inviato di Trump per il Medio Oriente. La sua partecipazione ha accelerato la tempistica che ha portato al cessate il fuoco e consegnato in mano a The Donald la prima medaglia della sua amministrazione, ancor prima del 20 gennaio, data in cui Trump torna da 47° presidente americano eletto alla Casa Bianca.

L’antefatto risale al fine settimana in vista del 15 gennaio, quando tra il primo ministro Benjamin Netanyahu e l’inviato entrante per il Medio Oriente Steve Witkoff si è svolto un incontro pregno di tensione, ma che ha portato a una svolta nei negoziati sugli ostaggi, con Witkoff che ha tenuto testa al premier israeliano più di quanto non abbia fatto il presidente uscente Joe Biden in passato. Witkoff era stato inviato a Doha per prendere parte alle trattative sugli ostaggi. Ma sabato 11 gennaio Witkoff è volato in Israele per un incontro con Netanyahu, che l’ha ricevuto a Gerusalemme. Durante l’incontro, Witkoff ha esortato Netanyahu ad accettare i compromessi necessari a chiudere l’accordo. Due giorni dopo l’incontro di Gerusalemme, quindi lunedì 13 gennaio, i team negoziali israeliani e di Hamas hanno notificato ai mediatori di avere accettato “in linea di principio” la proposta di accordo sugli ostaggi. Dopo di che le parti hanno continuato a lavorare per finalizzare i dettagli riguardanti l’attuazione dell’accordo, tregua compresa.

Fonte: ANSA

Una delle questioni principali riguarda i parametri esatti del ritiro dell’Idf (forze armate israeliane) dalla Striscia di Gaza, con i mediatori in attesa della mappa del ritiro che deve fornire Israele. 

Da questi resoconti su come sono andate le cose, sembra quindi che sia stato Trump a dettare la linea politica sul conflitto in Medio Oriente. “Con questo accordo, il mio team per la sicurezza nazionale, attraverso gli sforzi dell’inviato speciale in Medio Oriente Steve Witkoff, continuerà a lavorare a stretto contatto con Israele e i nostri alleati per garantire che Gaza non diventi mai più un rifugio sicuro per i terroristi. Continueremo a promuovere la pace attraverso la forza in tutta la regione, mentre sfruttiamo lo slancio del cessate il fuoco per espandere ulteriormente gli storici accordi di Abramo”. Affermazioni di Trump che, come ricorderete, era al suo primo mandato alla Casa Bianca quando il 15 settembre del 2020 a Washington i rappresentanti di Israele, Emirati Arabi (EAU) e Bahrein firmarono tali accordi per promuovere la normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra lo Stato ebraico e i due paesi del Golfo.

Non si può omettere di sottolineare che anche l’amministrazione Biden abbia esercitato pressioni su Israele affinché si giungesse all’intesa del 15 gennaio 2025, non trovando però in Netanyahu la giusta disponibilità. Netanyahu ha ampiamente resistito, ritenendo inutile questo tipo di pianificazione finché Hamas era ancora operativo, respingendo inoltre anche la preferenza degli Stati Uniti per l’Autorità Nazionale Palestinese, con sede in Cisgiordania, per sostituire Hamas a Gaza. 

L’influenza di Biden su Israele si è poi ulteriormente indebolita con l’atteggiamento di Netanyahu, che riteneva di poter attendere il cambio di presidenza alla Casa Bianca. Per Biden usare la minaccia di un embargo sulle armi avrebbe richiesto sicuramente un certo coraggio politico per fronteggiare la maggior parte degli israeliani, che avrebbero reagito male.

“Abbiamo un accordo per gli ostaggi in Medio Oriente. Saranno rilasciati a breve. Grazie!”. Con questo post a caratteri cubitali su Truth, poco dopo mezzogiorno negli Usa, alle ore 18 in Italia, Donald Trump ha annunciato l’intesa su Gaza, dopo le anticipazioni diffuse qualche minuto prima dai media internazionali. Joe Biden, che ha inseguito questo risultato per oltre un anno e mezzo, nello stesso giorno si apprestava intanto a pronunciare il suo discorso d’addio alla nazione, chiudendo così una carriera politica di oltre cinquant’anni.

Daniela BLU

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